mercoledì 22 maggio 2013

Diciannove





Tra le carcasse incontrate lungo il cammino ho riconosciuto tutti gli animali visti da vivi eccetto le aquile che sanno il fatto loro e spiccano il volo all'ultimo o si limitano a un balzello sull'altra corsia e non ho visto pappagalli. Nessuno degli esemplari coloratissimi, o bianchi con la cresta o neri con la macchia rossa sulla coda sembra essere soggetto a decessi sul ciglio o in mezzo alla strada.
Tra le montagne rosse di pietre e verdi di piccoli cespugli, guidavo lento quando, dalla destra, un turbinio verde fluorescente di ali di pappagalli si è levato da un albero lungo la strada e i pennuti sono sembrati particolarmente incuriositi dal van con quello strano disegno e ci si sono diretti molto vicino. Non devono avere la vista di falco. Uno in particolare è apparso dannatamente miope tanto da schiantare la graziosa testolina su quella più grande di Bender e lì, in quello scontro di teste, lasciarci letteralmente le penne. Sullo specchietto seguivo il volo spezzato e la caduta rovinosa e fatale rotolante verso sud, o ferma in quel punto mentre noi procedevamo a nord, ho visto una palla verde già meno brillante rotolare sconnessa sull'asfalto sempre più piccola e, per un millesimo di secondo, un riflesso di sole nel becco che non avrebbe più cantato.
Eravamo quasi a Kununurra e avevamo ucciso il nostro primo animale in più di 5000km percorsi.
In un viaggio così lungo ci sono molti naturali silenzi, ma quello successivo all'impatto fu molto pesante e sconsolato.

 

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