martedì 11 giugno 2013

Trentatre


Ci sono 700 metri tra la casa dei nostri nuovi surrogati di genitori e il loro art center che offre esperienze culturali aborigene. Quel pezzo di strada sterrata divide un bosco da un campo. A percorrerla di prima mattina a piedi per andare a lavoro si sentono dei rumori di passi calpestare le foglie secche del bosco e le foglie secche calpestate scricchiolano e gracchiano schiacciate col rumore secco di legno vecchio spaccato e poi rotto e i rumori sono quelli che spaventerebbero in altre situazioni, sembra essere circondati da decine di persone che si muovono furtive. Sul momento non si vede niente.
Ma lo spavento dura un istante, il tempo che le presenze inizino a correre spaventate, loro sì, in tutte le direzioni senza alcuna cognizione di dove andare ma col solo pensiero di fuggire lontano anche se questo implica attraversare la strada che stiamo percorrendo.
Sono i wallaby, piccoli canguri che proliferano a Katherine e nelle zone limitrofe che se stanno immobili sono estremamente mimetici ma, evidentemente, non lo sanno. Sono così tanti che ogni giorno mi sembra di vederne di più nonostante ne conti una media di tre al giorno morti sulla strada che percorro da quando ho iniziato ad accompagnare al lavoro Flò. Il suo lavoro stavolta non è volontariato ma è uno vero: finalmente assunta in una vera farm che cercava però solo vere ragazze, lasciando il sottoscritto come manovalanza per le necessità dei surrogati di genitori che ci siamo trovati, in cambio di alloggio per due.
Manuel detto Manu - l'aborigeno che offre l'esperienza culturale al centro insegnando a pitturare in stile aborigeno, ad accendere il fuoco con due bastoncini e a scagliare lance in stile indigeno verso la sagome di un canguro - l'unico aborigeno che – a detta dei surrogati di genitori – abbia voglia di lavorare, Manuel i wallaby se li mangia. Quando il surrogato di babbo è rientrato una notte sconsolato, neanche troppo, perchè uno gli si era scagliato sulla fiancata (di wallaby non di aborigeno), ha prontamente chiamato Manu per accompagnarlo ad andare a verificare l'accaduto. Ebbene, la foto che ci ha mostrato al suo ritorno sul cellulare ritraeva un Manu molto sorridente tenere in mano la coda dell'insperata e succulenta cena.

Il fatto che si mangi i canguri non mi tocca troppo, ad entrare un po' nel loro mondo sono le storie di colonialismo a spaventare: i bianchi che al loro arrivo vennero scambiati per gli spiriti delle tradizioni popolari aborigene, i bambini classificati come stolen generation, bambini aborigeni che per via di una carnagione più chiara venivano strappati alle proprie madri per essere integrati nella società civile, Manuel ci racconta delle madri che cercavano di sporcare con colori naturali la pelle dei figli o come questi stessi scappassero alla vista del pericolo bianco, decisamente più spaventoso degli spiriti dei loro racconti.

lunedì 10 giugno 2013

Trentadue


Lavorare nei campi ti fa assaporare la bellezza della fatica del lavoro primordiale. Tendere l'orecchio per ascoltare i rumori di qualche animaletto che scappa dalla minaccia umana non è, per quanto romantico, sufficiente ad attenuare lo sforzo e a far scorrere i minuti. La soluzione più facile che rimanda a fatiche negre e schiavitù è cantare e a me viene in mente solo una canzone italiana, solo una che conosco dal principio alla fine e che mi ricorda un pulmino con dei ragazzini di una piccola scuola di periferia che se ne andavano in gita a vedere una piccola torre a cinque lati di un altro piccolo paese di periferia e io non ero di quella scuola, né avevo l'età di quei ragazzi, loro erano più grandi, io ero il figlio del professore di ginnastica (come si diceva una volta), loro erano di un'altra generazione, più vicini ad un momento storico fondamentale; oppure mi fa venire alla mente come un dj locale negli ultimi tempi si sia impadronito del titolo della canzone per le proprie serate, snaturando un significato che i giovani d'oggi probabilmente stenteranno a conoscere e, se interrogati su queste due parole, ti risponderanno raccontandoti nottate da ballare sino all'alba e pillole che ti aiutano a farlo. Non che mi manchi cultura musicale, anzi (ma di certo non sono come il Mea che in Albania io gli dicevo il titolo di una canzone di DeAndrè e lui me la cantava tutta), tuttavia solo di questa canzone riesco a ricordare ogni singola parola e il ritmo è facile e mi allieta e mi ricorda le storie dei nonni; di tutte le altre canzoni mi manca sempre qualcosa, una parola, il ritmo, per continuare sino alla fine. E allora, sul trattore pieno delle pietre che vi ho appena caricato, canto a squarciagola una canzone che mi rende fiero delle origini, canto di oppressione e liberazione, canto Bella Ciao, che poi tanto qui nessuno mi capisce e non ci sono mica i destrorsi nostalgici ignoranti.
Poi, quando le ore di lavoro iniziano a diventare tante, non basta una canzone, serve un attrezzo di epoca recente, serve un lettore mp3 carico fino a scoppiare di canzoni. Meglio se canzonette.

domenica 9 giugno 2013

Trentuno



Woofing significa entrare in una realtà collaudata e lavorare affinchè ciò che già funzionava da solo risulti migliori, nel senso di più gradevole alla vista, nel senso di più pulito e curato. L'erba alta dei giardini cesserà di essere tale, rami ingombranti cadranno potati e pile di legna verranno spaccate e accatastate. E nel frattempo si condivideranno storie con sconosciuti, esperienze, modi di mangiare e bere, stili di vita. Non ci sono regole sulla permanenza in senso di durata, per quanto mi riguarda, l'ideale sarebbe cambiare, girare e scoprire, lasciando ottime sistemazioni per altre incerte, ma poi ogni situazione è a sè. L'ospite è come il pesce

giovedì 6 giugno 2013

Trenta


Questa Katherine non è un donnone che aspetta a braccia aperte, eppure, a dargli una seconda occasione, ci si avvicina, qualcosa di materno c'è . C'è la farm dei genitori del fattore che ci aveva ospitato prima, nonché nonni delle tre piccole dai nomi strani, che in italiano sarebbero Zenzero, Scricciolo e Peperoncino. C'è un aborigeno che, uscito dall'ombra delle bottiglie all'ombra degli alberi di città, ora dipinge nella sua lingua per i farmer e per i curiosi che si cimentano nell'esperienza, c'è un piccolo di wallaby che si chiama Bob che ha perso la madre e che la coppia di signori sta tirando su. Bob è così piccolo che non ha ancora i peli, tenerlo in braccio è un'emozione rara. Manuel, detto Manu, è l'aborigeno, lui di peli ne ha, ha un bel pizzetto sfumato di bianco ed è un omone, ha un sorriso buono e, come il canguro, è tenero, di una tenerezza che hanno le cose rare o, a essere cinici, i fenomeni da baraccone. 

domenica 2 giugno 2013

Ventinove



Nella notte il fattore - termine che suona strano per un trentacinquenne ma questo è - ha fatto un giro per la terra che circonda la casa e, in un gesto che forse è d'affetto o forse è solo routine, ha raccolto qualcosa come cinque chili di cane toad, le ha schiaffate in un secchio e al mattino quelle che non erano morte soffocate le ha decapitate. 
Le cane toad sono un altro degli animali pericolosi presenti sul territorio australiano, e hanno una particolarità che li rende ostili agli australiani che sono pertanto liberi di e incentivati a sterminarli. La particolarità è che sono rane che non appartengono a questa nazione, sono animali infestanti importati per combattere qualche tipo di insetto delle canne da zucchero, tuttavia a posteriori si scoprì che l'insetto volava più alto della gittata di lingua delle rane. In definitiva, come molte delle decisioni prese a cuor leggero da queste parti, l'idea si è rivelata ben presto una stronzata. Oltre a riprodursi a grande rapidità, come fu per i conigli in precedenza, questo tipo di rane ha il corpo, più precisamente due punti della schiena, cosparso di una sostanza tossica e velenosa e, benchè non abbia effetti sull'uomo a meno che non osi mangiarle, risultano mortali per tutti i naturali predatori, che siano, lucertole, iguane, falchi o serpenti (tranne un tipo di serpente anch'esso non australiano che può mangiarle senza conseguenze, vd serpente nella foto in basso che ne ha appena mangiata una). La storia delle cane toad me la raccontò Diego a Kununurra e ci ripenso dal primo incontro notturno con questi spregevoli rettili enormi e indifferenti al passaggio del potenziale pericolo umano.
Al di là delle rane che sono un problema relativo per noi, c'è un altro disagio.
Viaggiare rende costipati. I primi giorni evacuare non sfiora neanche la testa, poi diventa una volontà non assecondata dal corpo, poi un'esigenza fisica. Nella fattoria in cui siamo, si torna alla costipazione, qui non è il viaggiare la causa ma questo bagno che è una sorta di torrino eretto in cima a un tubo che va a finire dritto nella terra. Il torrino è fatto di assi sconnesse e si è esposti alla vista, ma non è tanto questo il problema quanto il fatto che, dopo nove anni di cagate, il tubo è pieno quasi sino all'orlo e non oso immaginare quale soluzione inventerà il fattore, preferisco pensare di lasciare la casa prima che erutti e cercare un bagno in città.
Non è tanto il lavoro fisico, né l'essere totalmente fuori dal mondo, quanto la sensazione di una libertà condizionata, la mancanza di integrazione vera, specie con la donna di casa che è chiaramente la figura dominante che tutti condiziona con le sue decisioni. Al di là di rane e costipazione è quest'aspetto che ci porterà presto a cercare una diversa collocazione.
Un giorno per volta.

sabato 1 giugno 2013

Ventotto



La mattina spremiamo latte dalle mammelle destre delle capre, che le mammelle sinistre sono lasciate ai cuccioli. Latte intenso che ci dà forza per incominciare una lunga giornata campagnola fatta di rastrellamento e raccolta erbacce di tutta l'erba alta un metro che lui taglia col trattore e, nel pomeriggio, piromania – nel senso letterario del termine, inteso come appiccare fuoco alle distese di erba secca lanciando pillole infiammabili dalla jeep in corsa. Per lavorare sono vietate creme solari, del resto si lavora presto la mattina e tardi la sera e la crema, così come lo shampoo, non è ammessa dai padroni di casa. Per lavarsi ci sono saponi naturali fatti in casa e sono vietati prodotti chimici come i suddetti perchè l'acqua della doccia all'aperto irrigherà poi gli orti contigui. C'è qualcosa di molto naturale e buono che si mescola con qualcosa di strano, per non dire sbagliato, nel progetto di vita di questi due trentacinquenni. Quanto emerge è che una vita diversa è possibile e quella che stiamo vivendo è l'Australia più pura e cruda, ma mancano molti valori fondamentali che non possono essere messi in disparte (vedi l'educazione delle figlie che non andranno a scuola e se vorranno informarsi basterà chiedere ai genitori, concetto che mi lascia perplesso).


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