martedì 26 marzo 2013

Favole



Lavorare logora, ma è per logorarci che viviamo, in un modo o nell'altro. Logora lo spirito e/o il corpo. Quasi sempre entrambi. Quando il lavoro è solitario e prettamente fisico anche lo spirito può logorarsi nel senso di lasciarsi andare. Quando chi si logora fisicamente riesce a non concentrarsi esclusivamente sulle azioni da compiere , i suoi gesti risulteranno variabili, scostanti e imprevedibili, così come i suoi pensieri. Lasciarsi andare significa tendere a qualche forma di pazzia, ma anche lasciarsi andare ad azioni che rispecchiano la natura dei pensieri. Imprevedibili. Significa immaginare situazioni, partire da momenti di vita per creare storie, storie che salvano dalla routine, storie che che circumnavigano la pazzia o forse ci entrano dentro dritte e la tagliano in due, storie stupide. Come la storia di Cinerentolo e Cinerentola che erano scappati all'estero per scoprire se un altro mondo esisteva veramente. E all'estero tutti erano anglofoni e li chiamavano Cinderello e Cinderella, ma poco cambia. Cinerentolo e Cinerentola erano scappati da un mondo sporco per ritrovarsi in uno molto più pulito (in apparenza soprattutto, ma a volte anche in sostanza) che per essere così pulito si avvaleva delle menti più brillanti di tutto il mondo. Ora, l'idea di sfruttare persone intelligenti nel senso di intelligenza mentale per lavori manuali sembrava contraddittoria al Cinerentolo, ma ragionandoci sopra capiva che non era poi tanto sbagliata: il paese si mostrava ostico ma era propenso a premiare il carattere, la determinazione e l'ostinazione in futuro a medio termine e in più avere una mente brillante facilitava la pulizia di superfici opache e oltretutto permetteva di sopravvivere al dolore fantasticando storie come la loro. Cinerentolo che prima era stato scelto come cuoco, ma solo dopo un ripescaggio, aveva poi dovuto fare i conti con l'infingardia di quelli del suo stesso paese e, per una nuova legge creata ad hoc, il suo ripescaggio era stato annullato. Cinerentolo però era ostinato e umile e poteva farsi ancora più umile e ostinato e allora partecipò alla competizione per lavapiatti. Due volte. La prima volta non comprese bene le regole e venne eliminato, la seconda volta capì quasi tutto, quasi perchè i suoi studi anglofoni non avevano mai previsto i termini tecnici della cucina e così imparò a chiamare tagliere board o cut board, che box vale un po' per tutte le scatole e bag sono le buste che vi sono dentro, sink è il lavandino e prawn sono i gamberi mentre i calamari si chiamano calamari nei ristoranti anglofoni e squid in quelli italiani e questa cosa proprio non la capiva.
Per sopravvivere, inoltre, dava valore alle piccole cose come quando, dopo aver tagliato tonnellate di teste di calamari, dovette, per la prima volta, sezionare anche le gambette e tra centinaia di queste divise a due a due, trovò una piccolissima stella marina originaria di qualche mare asiatico e imbustata tra i molluschi commestibili e allora lui mostrò la stella a tutti e tutti si stupirono e lui si chiese com'era possibile che non fosse mai successo a nessun altro ma solo a lui e per giunta la prima volta che si cimentava nella gambizzazione. Delle due l'una: o gli altri non sapevano accorgersi delle piccole cose, oppure era un segno. Lui pensava fossero entrambe le cose, anche se non sapeva quale significato attribuire al segno.
Cinerentolo, che avrebbe preferito un nome romantico tipo Sentimento Primo, era perso in movimenti veloci come veloci dovevano essere le sue azioni per finire il prima possibile e stupire le manager impazienti, simpatiche fino alle 2330h e poi improvvisamente acide, e tuffarsi nel letto nell'abbraccio caldo di Cinerentola che nel frattempo era sprofondata in un meritato riposo con i vestiti del lavoro ancora indosso.
I vestiti erano neri. Nera era lei, nero anche lui, entrambi in lutto per il senso del piacere sacrificato per dovere. La maglia di lei era fornita dai padroni, la maglia di lui no. Succedeva così che la sua unica maglia completamente nera non era sufficiente perchè ogni sera a fine lavoro era completamente zuppa dell'acqua calda che puliva i piatti e era anche sporca perchè in fondo gli piaceva sporcarsi. Sporcarsi per poi pulirsi, più era sporco, più avrebbe tratto soddisfazione nel pulirsi. Così alternava la maglia nera – in un ciclo continuo di lavatrici, lavaggi e controlavaggi e centrifughe e centripete – con una maglia vecchissima che era premio e ricordo di una vacanza giovanile e la città era magnifica e la maglia te la regalavano se in una stessa sera consumavi cinque drink in cinque locali diversi. Lui in una sera ne aveva vinte due, una per lui e una per un'amica a cui non piaceva l'alcol ma voleva la maglia, poi del resto di quella sera non ricordava molto di più. Poi aveva anche un'altra maglia nera, questa non aveva un disegno stilizzato di una città ritratta in modo barocco, ma aveva stampate sù le facce dei Ramones ed era particolarmente pacchiana e lui (che aveva un'estetica italica nel vestire che fungeva da sostrato del suo vestirsi a caso che lui amava definire “casual”) l'aveva accettata in quanto regalo, sapendo che difficilmente l'avrebbe indossata fuori dalla camera da letto dove tutto era concesso. Non che considerasse i Ramones pacchiani, anzi li considerava come tappa ineludibile di una formazione musicale occidentale adolescenziale che poi prenderà pieghe più o meno rock ma da lì dovrebbe passare e tra l'altro in tempi recenti aveva anche sentito il concerto dell'unico superstite in una malinconica e allegramente triste rivisitazione dei tempi che furono. Così vestito di nero dalla maglia alla punta dei piedi – nel senso dell'unghia nera dell'alluce causata dalle prime scarpe nere troppo piccole per una cattiva interpretazione delle taglie – pensava alle relazioni di interdipendenza: dallo chef capo ai due sottochef, tutti questi gli avevano fatto la confidenza di avere un passato come lavapiatti. A lui tornava alla mente quando ebbe una discussione con una professoressa ottusa che sosteneva che tutti coloro che si fanno una canna poi finiscono dritti all'uso di eroina e lo sosteneva perchè un'indagine condotta sugli eroinomani dimostrava che tutti avevano iniziato facendosi una canna, lui poteva accettare questa semplicistica relazione a ritroso ma negava l'obbligato e inevitabile passaggio dell'una all'altra. Allo stesso modo si chiedeva se, dato che tutti gli chef avevano iniziato come lavapiatti, allora tutti i lavapiatti, secondo la professoressa, sarebbero diventati chef e allora sapeva già come sarebbe stato il suo futuro. Ma poi rigirava la domanda chiedendosi se tutti i lavapiatti poi diventano chef. Questa era la giusta domanda e la risposta era inevitabilmente NO. Al termine del ragionamento tornava alla realtà al lavandino che gocciava sulle scarpe di plastica con sulla parte superiore buchi traspiranti aria o inspiranti acqua a seconda della situazione, allo schizzo di maionese che gli si era stampata sulla maglia nera in una striscia orizzontale che terminava sulla sua barba incolta e chi passava lo trovava goffamente appetitoso. I piedi bagnati nei calzini inzuppati dai buchi inspiranti reclamavano aria fresca, lui guardava i suoi piedi con uno sguardo che mischiava compassione e senso di colpa e allo stesso tempo comunicava un messaggio: come nella favola si parla di mezzanotte e scarpette perdute, sapete bene che intorno alla mezzanotte, prima ancora di entrare in casa vi sfilo questa gabbia fatta di plastica scadente per farvi assaporare la freschezza della terra notturna e della brezza marina, toccare e respirare assieme, poi a letto vi metto all'altezza del resto del corpo e potrete fluire via la stanchezza che per gravità è scesa verso il basso.
Poi un giorno – mentre ragionava, di un ragionamento più complesso del solito di quelli che vengono una volta ogni tanto e necessitano di una montagna di piatti da lavare e una retro cucina deserta eccezion fatta per lui, ragionava sull'importanza, purtroppo, di trovare gente che parlasse la sua stessa lingua, purtroppo perchè così facendo interrompeva il flusso di apprendimento di vocaboli stranieri lento ma costante, che nel suo diagramma di apprendimento in cui comparivano “inglese” sull'asse delle ordinate e “tempo” sull'asse delle ascisse, formava una linea apparentemente orizzontale e apparentemente parallela all'asse temporale, ma che, in realtà, osservandola meglio tendeva gradualmente verso l'alto, non risultando pertanto propriamente parallela, per quanto riguardava Cinerentola invece la linea retta partiva da un livello prossimo allo zero per assumere una direzione obliqua tendente verso l'alto che denotava enormi progressi in un ristretto arco di tempo; c'è da ammettere inoltre che la forma retta della linea sia possibile tracciarla soltanto in considerazione di un arco di tempo considerevolmente lungo, mentre la linea non è più retta, ma assume un progredire scostante ma comunque sempre tendente verso l'alto, inteso come miglioramento della lingua, se considerata in un arco di tempo più breve che tenga conto del trascorrere dei giorni ed evidenzi meglio i singoli episodi quotidiani (incontrare gente di differenti regioni del mondo, guardare film o televisione, leggere giornali, capire le canzoni)... l'importanza del parlare la sua stessa lingua nasceva dal bisogno di utilizzare un vocabolario più ampio, avere la sicurezza delle parole complesse come sostrato-superficiale-imbarazzo-valori-identità-discriminazione-inettitudine-infinito, tempi verbali complessi e consecutio temporum e trattare temi di comune interesse e scambiarsi esperienze diverse ma accomunate da una simile formazione e tradizioni che ne rende l'ascolto più godibile e allettante. E questo bisogno, purtroppo, è un piacere difficile da soffocare, alimentato anche dalla pochezza culturale del paese ospitante, è per questo che da anni e per anni gli immigrati si cercheranno tra loro e fonderanno club elitari in cui consumare pietanze tipiche e giocare a bocce, biliardo e carte – e poi un giorno, mentre il pensiero sugli scambi linguistici cercava di lenire il dolore alla schiena, come nelle favole si presentò al suo cospetto l'aiutante magico, quell'elemento del racconto che aiuta il protagonista ad uscire da una situazione particolarmente complicata. L'aiutante magico era un ragazzino con grandi occhiali squadrati resi più grandi dagli occhi a mandorla, una folta chioma nera alla base e marrone nella parte esposta al sole imbiondente, un grande entusiasmo e un amore forse eccessivo per la patria natale del protagonista. Il protagonista, che era meno innocente e puro di cuore, ancora non lo aveva accolto come futuro amico e lo vedeva piuttosto con lo spirito cinico tipico degli occidentali (che non riusciva a ritrovare in nessun orientale) come un valido aiuto, di più, come risorsa da sfruttare, sempre ovviamente con massimo rispetto. Una volta accortosi dell'innocenza, della forza di volontà e di come l'aiutante fosse indifeso al mondo, Cinerentolo offrì alloggio nell'umile dimore al nuovo amico che ormai aveva capito essere un essere magico. Da parte sua l'aiutante prese a chiamare Cinerentolo “fratellone” (Cinerentolo era già fratellone di due sbarbini che comunque non avrebbe scambiato con altri, ma niente vietava di aggiungerne un altro, considerato che gli altri erano così lontani) o addirittura gli confidò che qui lui era in sostanza il suo “migliore amico”. Cinerentolo l'avrebbe abbracciato per questo, ma la sua permanenza in quel luogo stava per terminare, sentiva il richiamo del viaggio della natura e della strada e di aria nuova, e abbracciarlo significava stabilire un nuovo forte legame e, in previsione del momento in cui, anziché abbracciare qualcuno in partenza, Cinerentolo sarebbe stato quello abbracciato, sentiva che forse era meglio tenere mezzo braccio di distanza. Che poi sono quelle decisioni di cui ti penti a posteriori, in realtà i sentimenti andrebbero, anzi vanno esternati per bene, senza eccessi, ma esternati.
Poi l'aiutante prese ad avere sempre più ore di lavoro e il protagonista sempre più tempo libero, cosa che all'inizio venne accolta come una mano santa, ma che con l'aumentare del tempo libero venne vista negativamente da Cinerentolo per l'eccessivo tempo libero; e avrebbe anche dichiarato guerra alla voce del padrone se nel frattempo, nel tempo libero in eccesso non avesse pianificato una via di fuga comprando un mezzo e una mappa e ora aspettava alla finestra la fine delle piogge per prendere per mano Cinerentola per trascinarla in una nuova mirabolante avventura.
Cinerentola intanto....


giovedì 7 marzo 2013

Spiagge. 2 – l’isola dei pinguini





Sarà che se vivi al centro dell’Italia per andare al mare pensi prevalentemente al sud, sarà che Fremantle è a sud di Perth e non ti va di attraversare la grande affollata città per andare al mare. Sarà per questi fattori che tendo a dirigere la mia auto verso il sud, quando scelgo di andare a scoprire nuove spiagge.
Penguin Island è mezz’ora di macchina a sud di Fremantle (c’è da aggiungere una ventina di minuti da Perth). Si tratta di guidare sino a Safety Bay, dirigersi alla spiaggi di Arcadia Drive, scendere dall’auto e camminare sull’acqua per un chilometro dalla spiaggia sino all’isola di fronte. A dirlo sembra qualcosa di miracoloso, qualcosa che soltanto uno pare sia riuscito a fare intorno a 2000 anni fa. A farlo non c’è niente di strano e possono farlo anche i peccatori (altrimenti sarei affogato). Effettivamente non si cammina sull’acqua ma nell’acqua, effettivamente non è che si può scegliere qualsiasi punto per farlo, ma è caldamente consigliato individuare la striscia di mare più chiara e seguirla. Procedendo, l’acqua inizierà a salire fino alla vita e qualcosa di più (ovviamente il tutto dipende dall’altezza delle persone e dalle correnti marine, e in caso di acqua alta c’è sempre un traghettino), per poi tornare a scendere sino a ritrovarsi sulla sabbia asciutta della spiaggia della costa interna di Penguin Island circondati da uccelli simili a gabbiani con la cresta. L’isola non è soltanto un ritrovo di pinguini, come suggerito dal nome, ma è anche riserva protetta per gli uccelli tra questi un’enorme colonia di pellicani, e saltuariamente, meta turistica dei leoni marini che vivono nell’isola vicina, avvicinabile, questa, solo con le barchette che partono dal porto di penguin island.
Le spiagge dell’isola, quelle rivolte verso l’interno rispetto a quelle rivolte verso l’esterno, offrono panorami totalmente differenti, quelle interne, con spiagge di sabbia e riparate dalle correnti, risultano invitanti per bambini, paurosi e turisti della democrazia (cit.) in generale, le altre, rivolte verso l’oceano con fondale roccioso, sono più colpite dalle onde, queste risultano migliori per lo snorkeling e meno attraenti per i gruppetti di turisti. Entrambe valgono la pena, a piedi senza soste l’isola si gira in un paio d’ore, quindi conviene fare un giro per poi scegliere quelle più adatte alle proprie esigenze.
Poi ci sono i pinguini con quelle facce stupite e i piedi enormi che spuntano dal basso ventre. I pinguini sono uccelli senza le gambe, i piedoni posti in fondo alla pancia gli danno quella postura necessariamente eretta e impettita. I pinguini sono uccelli che non volano, semplicemente sono buffi e questa loro goffaggine (fuori dall’acqua) li rende attraenti e popolari. Nella mia testa e in quella di molti sono gli uccelli del ghiaccio dell’antartide ma, a quanto pare, come per alcune tipologie di uomini, alcuni di essi amano spalmarsi al sole delle tranquille spiagge australiche. C’è un periodo in cui sono particolarmente sensibili al contatto e sono particolarmente protetti, il periodo è quando cambiano le piume e non vanno disturbati. Io ho camminato nell’oceano per vederli proprio in quel periodo e alcuni di loro con le nuove candide piccole piume che spuntavano dal vecchio piumaggio erano al sicuro in una recinzione tirata su in maniera approssimativa, che impediva il passaggio dell’uomo per il rispetto per la natura che questo dimostra in questa nazione e che impediva la fuoriuscita dei pinguini per la paura che dovrebbero nutrire nei confronti di questi esseri mastodontici che li puntano con i mirini delle loro nere armi da condivisione di massa che nella maggior parte dei casi si chiamano canon o nikon. Il fatto che l’uomo rispetti le distanze imposte rende i pinguini meno diffidenti e, oltre al gruppetto ammassato tra le rocce e la recinzione, è facile trovare  i più spavaldi aggirarsi solitari per l’isola in attesa di fermarsi alla vista delle macchine fotografiche, evitando che con le funzioni video vengano ripresi nel loro ondeggiare ubriaco, ma immobilizzandosi ed eretti regalarti il loro profilo migliore.



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IL SALTO DEL KOALA by FABIO MUZZI is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License.