venerdì 31 maggio 2013

Ventisette



Deviare dalla strada asfaltata e imboccare l'ennesima strada polverosa, proseguire per 14km, girare a sinistra per 11km, a destra per 4km, ancora a destra per una stradina quasi invisibile per gli ultimi eterni 3km di strada sterrata e in condizioni da pazzi da percorrere con qualcosa che non abbia ruote motrici. Ad accoglierci, al momento dell'arrivo, solo donne: una giovane madre con le tre figliole di 10, 6 e 3 anni. Come camera abbiamo un tetto in lamiera sospetto e pareti fatte solo di rete antizanzare, dormiamo di fianco al recinto delle capre, incessanti nel loro disturbo del cicaleggio stellare con scampanellio e grattamento di corna e l'odore delle loro palline di merda che fuoriescono tamburellando sulle lamiere delle loro recinzioni e quando mi prende la brillante idea di illuminarle con la torcia, il loro sguardo notturno rivolto verso di noi che riflette la luce diventa macabro, le corna ritorte, il pizzetto e capisco il perchè vengano utilizzate per rappresentare il diavolo maligno.
Siamo fuori dal mondo, nessuno sa dove siamo, i collegamenti non esistono, le capre ci fissano, gli abitanti della casa hanno un che di inquietante, mi chiedo e mi rispondo con paurose fantasie sul perchè non abbia trovato alcun feedback circa questa farm. Le fantasie viaggiano verso scenari cupi, ad appesantirle ci sarà l'ululato dei dingo non molto lontani. Un'altra alba da attendere con impazienza e un giorno che non sappiamo cosa ci riserverà.

giovedì 30 maggio 2013

intermezzo balinese - conclusione





Ci sono questi ricordi di un mondo atrofizzato da paure eccessive, ci sono vie di mezzo per il paradiso, come Amed, da cui salpa la barca che in un paradiso ti ci porta. Non è il paradiso propriamente detto, non è che la barca affonda e muori e ti ritrovi in paradiso anche se il viaggio sotto il diluvio è angosciante, ma è il luogo reale che più vi si avvicina, è l'esclamazione che ti scappa quando arrivi a Gili Meno, una delle tre isole Gili.
Come siano le altre due non ho voluto saperlo, mi bastava quello che ho visto e il tempo a disposizione era colpevolmente poco. La più grande delle isole, altrimenti nota come l'Ibiza dell'Indonesia, mi attirava poco appunto per questa sua caratteristica troppo festaiola, ragazzi attirati da feste lunghe intere nottate e funghetti allucinogeni, non è una cosa che fa (più) per me.
Quello che puoi fare in questo paradiso è poco se non fai snorkeling, se lo fai hai tutto. L'isola ha una sola strada che ne percorre il perimetro e si gira a piedi in un paio d'ore. Unica alternativa dell'andare a piedi è farsi trasportare da piccoli calessi trainati da piccoli cavalli, utilizzati, oltre che per il sollazzo dei pigri turisti, soprattutto per distribuire tra i vari alberghi, bungalow, resort, ristoranti e abitazioni le scorte di cibo e acqua potabile altrimenti carenti sull'isola. 
Il fondale marino ha dell'incredibile, i pesci che si possono vedere sono così numerosi, variopinti, strani e splendidi che non si ha il tempo stupirsi. Con un po' di fortuna, neanche tanta, si possono incontrare enormi tartarughe marine che volano placide tra i coralli o nel blu dell'oceano più profondo. Per vederle con certezza basta prenotare un giro in barca. Noi siamo stati fortunati e abbiamo nuotato con una tartaruga spintasi vicino alla riva, ma la fortuna l'abbiamo avuta di pomeriggio dopo che la mattina già avevamo preso parte al tour dove di tartarughe se ne sono viste cinque o sei, oltre a alberi di natale marini e giardini di coralli e ancora pesci e ancora tanta vita irrealmente balinese sopra e sotto il livello del mare.
Poi la settimana di sollazzo è finita, abbiamo lasciato quella vita irreale quanto economica e siamo tornati a Perth dove ci aspettava un van scalpitante








domenica 26 maggio 2013

Intermezzo balinese- continua ancora





Quando guardo i figli dei locali di quelle madri e padri piccoli di statura (bloccati forse da tutti i pesi che sin da piccoli trasportano sulle proprie teste) quando vedo questi ragazzini, sotto i dieci anni, sfrecciare senza casco in due su scooter più grandi di loro, ripenso a tutte le battaglie per avere il mio primo motorino – un Ciao dei primi anni '70 – appartenuto a mio zio, che faceva i 30 all'ora e che con il serbatoio quasi scarico e in discesa sfiorava i 40.
Avevo sedici anni.
Quando guardo i figli dei locali, bambini tra i cinque e i dieci anni sguazzare in acqua come pesci, correre scalzi su pezzi di corallo a riva e su un giardino di coralli in acqua, così indifferenti al dolore che provo io ad ogni passo, e anche vederli surfare su onde in miniatura come fossero già adulti, quando li guardo ripenso ai villaggi turistici, i giochi organizzati, io che a quella loro stessa età ero considerato indifeso e stavo con gli altri bimbi indifesi tra sedie a sdraio e ombrelloni, tra mamme grasse intente a scostarsi la pelle per spelucchiarsi - munite di pinzette - i peli che fuoriuscivano dalla parte di costume che copriva la zona da cui noi giovani indifesi eravamo stati espulsi. E ora mi chiedo da quello spettacolo osceno chi ci difendeva? Vivevamo così ovattati che ogni giorno l'altoparlante urlava il nome del piccolo fabio o del piccolo marco che si era perso e la mamma lo attendeva (ancora con le pinzette in mano) disperata alla reception, possibilmente prima che iniziasse il gioco aperitivo.


Intermezzo balinese – continua



Quando a svegliarti è il gallo gli orari si sballano, le sveglie non contano più. La vita dei villaggi come Amed inizia presto all'alba quando i pescatori si spingono a largo alla ricerca di macrel da cuocere sul fuoco, i pomeriggi scorrono lenti. A casa del nostro amico nove dei non so quanti nipoti hanno costruito delle trottole incassando la punta di una penna in due monete bucate e ne fanno una anche per noi e il regalo ha un valore immenso e, nonostante l'incomunicabilità linguistica, ci sfidiamo a chi riesce a farla stare in piedi, ruotando, più a lungo possibile.
Vedere nove bambini balinesi radunati intorno ad una ciotola in una casa diroccata ma dignitosa in mezzo ad una foresta rigogliosamente verde non è certo l'immagine che appare digitando Bali su google, ma è una delle più autentiche che ho incontrato. O anche la donna sul ciglio della strada incassata  tra assi di legno che arde noci di cocco da cui ne ha estratto il contenuto per fare una salsa verde da spalmare sugli spiedini di porco cotti alla brace di cocco o quelli di qualche parte interna di vacca (questi non cotti), che sono una roba sublime.
Chissà cosa pensavo quando ho preso il volo per rilassarmi una settimana a Bali, uno dei luoghi dell'immaginario popolare per eccellenza; il relax estremo, cocktail in spiaggia, massaggi profumati, credo esista davvero ma è un'altra Bali, quella dei resort. Quel luogo comune non fa al caso nostro, credo che la noia mi avrebbe assalito dopo mezza giornata e non avrei trovato valide alternative allo sbronzarmi 24/7. Qui invece mi faccio di succhi di frutta tropicali, qualcuno in un locale vicino suona la chitarra e la musica si fonde col grugnito del maiale dell'abitazione di fianco e il porco sembra tenere il ritmo. Mi sto abituando alle cacate che i gechi mi rilasciano sulla camicia come bombe e che rimbalzano via.

Intermezzo balinese (ricordo di una settimana di vacanza prima di partire con il van, con la scusa di rinnovare il medicare)



La pioggia del pomeriggio del secondo giorno a Bali – che poi Bali è il nome della regione, dell'isola e dove siamo è Amed, città sul mare a nord dell'isola – la pioggia ci rinchiude nella nostra camera con bagno in stile giapponese e veranda con vista mare, ma la sedia dove siedo non guarda avanti verso il mare, ma a destra verso la miseria dell'esistenza di chi qui c'è nato. Anche loro sono in veranda, se così si può chiamare. Sono sotto una tettoia di una casa senza pareti tra macerie, galline e vecchie barche in legno ormai in disuso.
Siamo tutti bloccati dalla pioggia torrenziale del clima tropicale, il battito della pioggia sulle tegole è carico di intensità e ad interromperlo c'è quello strano gracidare che qua ho scoperto essere il verso dei gechi. Siamo nelle nostre verande, il muro che divide le abitazioni arriva al ginocchio e così i nostri sguardi si incrociano e non so cosa pensi quella donna magra a torso nudo con il seno così smunto e cadente che sembra solo un'altra delle costole che le si contano subito sotto. Non so quali siano i loro pensieri, come vedano questi sbiaditi turisti eccezionalmente alti con scarpe per diverse situazioni, occhiali per correggere il calo della vista dato da troppe ore in luoghi chiusi davanti a libri o computer. Nei miei pensieri c'è un misto di emozioni, c'è del disagio e senso di colpa per le opposte condizioni, c'è ammirazione per come nella pochezza del loro avere, abbiano tutto e nel tutto c'è la spiritualità che va oltre i piccoli cestini di legno intrecciati con offerte votive posti all'ingresso di case e negozi.

Ignoro cosa pensino ma sono affascinati dallo straniero e non c'è solo la visione dell'uomo bianco come bancomat ambulante, ma ci sono grandi sorrisi e chi conosce qualcosa d'inglese ti chiede nome e provenienza e ti dice come si chiama e fa un altro sorriso e via, e al secondo giorno già ti sei ambientato e sai capire cosa c'è nel loro interesse.
Il primo giorno l'impatto è stato decisamente più traumatico. Dall'Australia a Denpasar e su con la macchina sino a Ubud alla foresta delle scimmie e ancora più su sino ad Amed, passando nelle strade dissestate e attraversando scene di vita quotidiana che non pensavi possibili, e smog e cani randagi e terrazze di riso e uomini nudi a lavarsi in acque stagnanti ai margini delle strade e degrado che quanto visto in Albania è niente e traffico che a confronto a Napoli si gira bene e templi e clacson e motorini e scooter da tutte le parti e colmi di cose e persone all'inverosimile e galline e mucche e maiali e il catarro delle donne e il catarro dei bambini e verde tutt'intorno. E il primo giorno davanti a questo e a molto altro che a parole non si spiega, la testa fa male perchè il cervello non regge e non sta al passo e non spiega tutte queste immagini forti e crude che gli occhi affamati gli sottopongono.
E le case sono difficili da vedere, sono dietro i negozietti o sono tra la vegetazione. E queste case sono qualcosa che va visto e la fortuna di conoscere il marito balinese di una ragazza australiana ci porta a scoprire la vera vita, il saper vivere di niente senza sentire la mancanza di niente. E accettare il caffè nonostante si cerchi di evitare acqua e ghiaccio è gesto di cortesia e è anche inevitabile e anche scoprirne la bontà e scoprire che bollita (l'acqua) non porta diarrea. Così come il dolce di riso nero incartato nelle foglie di pannocchia risulta speciale nella sua povertà. Poi ci sono i succhi di frutta che aprono le porte della percezione al vero gusto di papaia, avocado, cocco.

venerdì 24 maggio 2013

Ventisei



Katherine, sarà per il nome, sarà perchè è al crocevia di tre strade, me l'immaginavo come un donnone che ci aspettava a braccia aperte per stringerci, confortarci e darci un caloroso benvenuto nel N.T. Al nostro arrivo le braccia sono rimaste aperte ma rigide, nessun abbraccio, così abbiamo cercato sollievo, sulle orme di Ulisse, in Coco, un personaggio di quelli che conoscono tutto e che sanno molto più di quanto non diano a vedere, uno che rimane nella memoria. Grande aiuto non ha potuto darcene ma ha fatto il possibile, spiegandoci l'ubicazione delle farm e il campeggio più economico nonostante questo andasse contro i propri interessi.
Per la prima volta vediamo un farm attiva: si trattava di cocomeri, di una distesa di verde acceso che a spaccarla era di rosso succoso. E una carovana di giovani al seguito del trattore a raccogliere quelli maturi. Com'era prevedibile i raccoglitori, gli impacchettatori, i mulettatori erano già abbastanza e non serviva altra manodopera.
Scoraggiati di nuovo ci siamo accampati al campeggio economico che sorge intorno al laghetto dove vive tale coccodrillo conosciuto come Elvis. Ancora più scoraggiati dal campeggio zeppo di italiani con cui proprio non riusciamo a legare e con cui il momento di massimo avvicinamento è quando ci chiedono due cartine per sigarette doppie, ci rifugiamo nel woofing o volontariato.
Tra le farm della zona scegliamo quella che sembra la più eclettica e spartana, ma l'impatto sarà tanto forte quanto il primo giorno di Bali. 

Venticinque



Come ci si libera dalla droga prima di un posto di blocco, come fossimo tossici o spacciatori, così, tra la sera prima e la mattina della partenza, ci siamo liberati di frutta e verdura in previsione dei controlli tra Western Australia e Northern Territory.
Un cespo d'insalata - che altrimenti sarebbe durato una settimana – salato, oliato e mangiato per cena; mezzo limone spremuto nella bottiglia in cui avevo sciolto il tè; gli altri limoni presi in una farm a cui non interessava raccoglierli regalati a mio fratello francese, i cocchi raccolti in un'altra farm aperti, bevuti, mangiati e lavorato il legno, sempre con i francesi vicini di tenda.
“Puliti” ci siamo preparati a partire verso l'altro stato, abbiamo salutato quelli presenti in quel momento con cui stava nascendo un'amicizia, specialmente Diego con cui abbiamo condiviso grandi chiacchierate di esperienze diverse ma con molti punti in comune. Anche lui è arrivato a Kununurra da Perth, ma lui – dopo la rottura dell'auto e aver salutato il compagno di viaggio – i 5000 e passa chilometri se li è fatti in autostop, aspettando ore sotto il sole e dormendo in luoghi improbabili e sperduti, da solo nella sua tendina, provando paura e dubbi sull'esperienza reali e autentici. Poi le farm se l'è fatte e ormai la schiena è abituata a stare piegata e a Kununurra lui ci resterà ben oltre i tre mesi necessari al rinnovo.
Mentre cresceva l'ansia all'avvicinarsi del confine, quell'ansia che ti prende quando ti ferma la polizia e sei regola, che non è vera ansia, non è forte, ma è la sensazione di avere qualcosa fuori posto, La patente ce l'ho con me? La revisione quando scadeva? Quella cipolla che non abbiamo consumato costituirà un problema? L'aglio sarà tollerato o ci rimarrà sullo stomaco? Mentre cresceva l'ansia abbiamo scorto il cartello del confine e ad attenderci c'era solo il cartello, appunto, che segna il passaggio tra stati.
Al primo distributore che troviamo, a sorprenderci non è tanto il prezzo della benzina che tocca il record finora incontrato, quanto il fatto che per noi sono le 2.00pm e per loro sono già le 3.30pm. Il gap di un'ora e mezzo ci porterà a guidare fino a orari notturni impensabili qualche centinaio di chilometri fa.

Ventiquattro



L'ultimo giorno di Kununurra riproviamo con un altro giro delle farm (sempre diverse ma con le stesse risposte), con un salto all'agenzia lavorativa e ci ritroviamo in campeggio ad aspettare. Aspettiamo con gli altri ragazzi che sono qua.
Loro aspettano che sole e acqua facciano il loro corso e maturino i semi e i fiori della terra, in una crescita impercettibile agli occhi, in un'attesa lunga tre o quattro settimane, troppo per noi. Noi aspettiamo una nuova alba per una nuova partenza.
Aspettando le relative attese, ammazziamo il tempo giocando a calcio tennis. 

giovedì 23 maggio 2013

Ventitre



E' martedì e le cose stanno più o meno così: giovedì scadono i giorni che abbiamo pagato in anticipo per campeggiare, i ragazzi qua anziché essere assunti vengono lasciati a casa (o in tenda che sia) in attesa della maturazione del raccolto e sembrano accettarlo senza preoccupazioni. A me aspettare lo scorrere delle ore al riparo dal sole nelle ore più calde e alla ricerca di farm in quelle più fresche ricevendo risposte sconfortanti, mi deprime e mi corrodo nel dubbio se restare o ripartire già sapendo che non c'è niente di facile ma ci sono possibilità e c'è la vecchia storia del posto giusto al momento giusto.

Ventidue



Quella decina di giapponesi e qualche francese sono stati avvisati la notte di domenica che il giorno successivo non ci sarebbe stato lavoro.
Ripenso a Furore sempre con maggiore intensità e insistenza.
Non c'è rassegnazione la mattina del lunedì nei loro animi o forse c'è ma è mascherata dalla musica truzza che pompano per tutto il campeggio.
Guardo in basso, ho i piedi neri

Ventuno



Arriva il lunedì e l'umore torna giù. La zona di farm che setacciamo è ricca di mango e banane ma siamo fuori stagione. Più che gli alberi ciò che accomuna le piantagioni è il cartello “no work” all'ingresso. All'agenzia lavorativa a cui fare riferimento rispondono che c'è una lista di 300 persone in attesa. I dubbi che sembravano sopiti tornano in superficie e all'ombra di un albero medito se partire o restare.
Avere il sosia di mio fratello al tempo dei capelli lunghi e l'orecchino di legno come vicino di tenda, mi fa sentire un po' più a casa.
Mi do altri tre giorni.

Venti di speranza



Kununurra sembra un'isola felice fatta di integrazione tra bianchi e aborigeni, invasa da backpacker in cerca di farm. Il campeggio è pregno di giovani francesi che hanno il merito di sembrare i più adattabili alla vita povera, ma hanno quel loro modo spocchioso di fare combriccola e quella capacità di impossessarsi di tutti gli spazi comuni che li rende scarsamente sopportabili. Eppure loro ci sono, gli italiani invece sembrano troppo affezionati agli agi di città.
A Kununurra il clima è più mite, se mite è la parola adatta, meglio dire clemente, con una leggera brezza e qualche montagna a fare ombra mattina e sera. Ci fermiamo un paio di giorni, non tanto per il clima, quanto perchè arriviamo di sabato e nel week-end è dura cercar lavoro. Lunedì valuteremo il da farsi.
La parabola del sole fa un giro diverso, sembra aver fretta di sorgere e di tramontare per risorgere e quando è alto scaldare ogni cosa, ma la sua parabola diurna non è perfettamente centrata e le ombre non scompaiono mai perchè la sua traiettoria arriva di striscio allo zenith.
La vita nel campeggio alle pendici del Mirima National Park scorre con una lentezza che cozza con la frenesia con cui avevamo preso a macinare strada. I backpacker qui non sono molti e sembrano essere qui da sempre. Chiacchierando di domenica pare di capire che siamo arrivati in un buon momento, prima del grande flusso migratorio che riempirà campeggi e ostelli. Fiduciosi cerchiamo spazi ombreggiati e aspettiamo.

mercoledì 22 maggio 2013

Diciannove





Tra le carcasse incontrate lungo il cammino ho riconosciuto tutti gli animali visti da vivi eccetto le aquile che sanno il fatto loro e spiccano il volo all'ultimo o si limitano a un balzello sull'altra corsia e non ho visto pappagalli. Nessuno degli esemplari coloratissimi, o bianchi con la cresta o neri con la macchia rossa sulla coda sembra essere soggetto a decessi sul ciglio o in mezzo alla strada.
Tra le montagne rosse di pietre e verdi di piccoli cespugli, guidavo lento quando, dalla destra, un turbinio verde fluorescente di ali di pappagalli si è levato da un albero lungo la strada e i pennuti sono sembrati particolarmente incuriositi dal van con quello strano disegno e ci si sono diretti molto vicino. Non devono avere la vista di falco. Uno in particolare è apparso dannatamente miope tanto da schiantare la graziosa testolina su quella più grande di Bender e lì, in quello scontro di teste, lasciarci letteralmente le penne. Sullo specchietto seguivo il volo spezzato e la caduta rovinosa e fatale rotolante verso sud, o ferma in quel punto mentre noi procedevamo a nord, ho visto una palla verde già meno brillante rotolare sconnessa sull'asfalto sempre più piccola e, per un millesimo di secondo, un riflesso di sole nel becco che non avrebbe più cantato.
Eravamo quasi a Kununurra e avevamo ucciso il nostro primo animale in più di 5000km percorsi.
In un viaggio così lungo ci sono molti naturali silenzi, ma quello successivo all'impatto fu molto pesante e sconsolato.

 

domenica 19 maggio 2013

Diciottanta km/h




Su queste terre aborigene, dove gli aborigeni bivaccano all'ombra, le strade sono state srotolate dai bianchi e per i bianchi.
Viaggiare a 80 km/h costanti ti assicura di essere solitario sulla strada, apprezzare il panorama e risparmiare benzina. Statisticamente, andando piano, dovresti incrociare anche più gente, eppure per centinaia di chilometri sembriamo essere gli unici al mondo. Poi incrociamo altri camion, auto con roulotte di australiani coi capelli bianchi, e, sempre più raramente, altri van. Mi chiedo se sia perchè stanno viaggiando anche loro per Kununurra a una velocità simile alla nostra, o se arrivino dall'altra costa, o se si siano estinti. Da notizie ufficiali e non, questo dovrebbe essere il periodo buono per zucche e meloni.
A Fizroy Crossing c'è una deviazione di una ventina di chilometri che porta a Geiki Gorge, si tratta di una delle poche deviazioni dalla strada principale che sia percorribile nel Kimberley con mezzo non superdotato, definibile anche normodotato. La camminata più lunga dura un'ora e mezzo (a/r), le rocce attraversate dal fiume sono affascinanti ma non valgono il Karijini, di più in questo parco ci sono varani e coccodrilli, per cui niente bagno.
E si riparte

Diciassette



Nel Kimberley le piante oltre a slanciate si spanciano e i busti si fanno ciccioni e dei vegani ci spiegheranno poi che i frutti si possono anche mangiare. Il baobab che tra questi merita di più è il Boab Prison Tree di Derby, immenso e carico di storia triste di schiavitù e di significato mistico per gli aborigeni. Qui gli aborigeni hanno impresso le loro storie, qui venivano radunati dagli invasori per essere incatenati ed essere portati a lavorare nelle navi, questa pianta aveva un significato mistico prima dei bianchi e ne ha avuto uno tragico dopo, questa pianta è il ponte che porta dalla vita selvaggia alla vita civile, quale delle due condizioni sia migliore non è dato saperlo, anche se a vedere i risultati della seconda, propenderei per la prima.

Sedici



Inizio maggio mi pare aver capito coincida al ponte tra autunno e inverno australe. Quassù nel Kimberley sono circa 35°. Il Kimberley inizia poco dopo Broome in direzione Derby, ma già prima di arrivare a Broome gli arbusti che costeggiavano il Great Sandy Desert iniziano a slanciarsi verso il cielo in vere e proprie piante che denotano maggior presenza d'acqua, le vacche qui sono tante e vive. Per gli standard dei paesi finora incontrati, Broome è quasi una città con la sua pulizia tipica e contraddizioni australiane, i villini, i backpackers, gli aborigeni emarginati in baracche radunati in gruppetti schiamazzanti intenti a bere, eppure paciosi. Aborigeni che aumentano in percentuale a queste latitudini e che meriterebbero di essere gli unici abitanti di queste terre ostili per gli sbiaditi exeuropei che si professano australiani doc. Aborigeni che rispettano terra e alberi e cielo. Aborigeni che hanno il diritto di essere incazzati.
Broome ha falchi invece dei piccioni e cammelli invece dei cani per touristici tour cammellati in riva al mare al tramonto. L'Infopoint di Broome avverte che non ci sono farm nelle vicinanze. Abbiamo preso l'abitudine di iniziare a visitare i paesi che incontriamo partendo dagli Infopoint, dove troviamo mappe del posto con aree bbq, bagni, campeggi e – in secondo luogo – attrazioni.
Ripartiamo

Quindici



Mentre strombazziamo ai 4000km percorsi e salutiamo con le dita a V in segno di pace gli sporadici automobilisti che incrociamo, ripenso alla nottata trascorsa barricati nel van nella roadhouse che ci ha fornito piazzola, agognata doccia e una marea di zanzare. Ripenso all'ennesimo sogno italiano, un sogno calcistico forse associato al premio per il gol più bello che qualche sera italiana precedente l'allenatore più grande e folle che abbia avuto aveva assegnato a mio padre in mia vece, l'allenatore che prima di tutto è amico, è un donchishiotte che fa sogni utopici e qualcuno riesce anche a realizzarne come questo che avevamo raggiunto insieme e io ero tra i suoi fedeli sancho panza.
Ogni segno o ricordo di quel che è stato dall'altra parte del mondo mi fa brillare gli occhi e non è solo il sole che ormai inseguo da un anno sfuggendo primavere, inverni e autunni che a questo punto iniziano a mancarmi.

Quattordici



Quando non guido, guardo intorno e guardo in basso le strade dritte scorrere lente sullo stradario che tengo sulle ginocchia e intanto mi fido della compagna di viaggio (e non solo) che mi dà il cambio. É importante scegliere bene la giusta compagnia per un viaggio del genere. Io l'ho scelta già in Italia.
La ragazza friulana che abbiamo incontrato a Exmouth, lei si era affidata al caso e aveva rimediato un'asiatica simpatica e un australiano che metteva l'auto ma aveva insistito anche per mettere un ingombrante ma fondamentale – per lui e i suoi compatrioti – bbq. Oltre a questo eccesso, tante mancanze. La tipa friulana ci aveva confessato di non vedere l'ora di scaricarlo.
Sulla strada per Broome vedo più falchi che persone, i falchi incontrati finora saranno un centinaio, se rinascessi falco saprei già come si vola.
Prima di partire per un viaggio del genere serve una grande scorta d'acqua, un buono stradario e una enorme quantità di musica di ogni tipo. 
Il resto viene facendo

Tredici



Eravamo sul pelo dell'acqua che facevamo snorkeling fluttuando sulla schiena dei pesci e poi è arrivato il deserto e poi i canyon e poi, al primo e unico distributore prima di Port Hedland, c'erano decine di falchi e qualche aquila a fluttuare e fare snorkeling sulla schiena del van che si preparava ad attraversare il Little Sandy Desert. Da lì in poi sarebbe stato solitario che neanche gli uccelloni si avventurano con quel sole, nonostante tutte le carcasse di vacche morte di sete per la lunga assenza di pioggia. E la puzza di decomposizione di quei bestioni è un nauseabondo rinfaccio di morte che entra improvviso dal finestrino, a preannunciarne la visione sul ciglio della strada. E la visione macabra sparisce in un secondo, mentre l'odore ristagna per diversi sgradevoli attimi fatti di smorfie.
Port Hedland poi, con tutte le sue fabbriche e miniere e gli omini che entrano e escono dai cantieri, Port Hedland non è più affascinante dei cadaveri di mucche in putrefazione.
Mangiamo e ripartiamo per Broome.
Il sole batte forte sul braccio fuori dal finestrino, vento che ti dia sollievo non ce n'è, ci sono però camion lunghi fino a 50 metri, quelli sì che ti spettinano e insieme ai capelli scuotono il van che pare a ballare al loro passaggio. 

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