sabato 3 novembre 2012

Ma la sera a casa di Susan


Al di là della colazione offerta, la precarietà degli ostelli – buoni per i primi giorni – ci spinge a cercare casa, una sistemazione stabile dove aprire le valigie mettere una base leggermente più stabile e non preoccuparsi di prenotare ogni tre giorni sperando che nel frattempo non siano finiti i posti. Da dove iniziare a cercare casa se non provando con gumtree? Ed effettivamente i risultati arrivano. Le stanze ci sono, per le coppie hanno prezzi alti ma abbordabili e – a conti fatti, decisamente più bassi rispetto agli ostelli. Ovviamente vanno viste tutte per capire e scegliere la migliore. I prezzi vanno dai 180 dollari a settimana (per quella che in realtà sarebbe una singola ma stringendosi si può fare) a quasi i 350 dollari a settimana per case in stile giapponese, decisamente eccessive per un backpacker sia come prezzi che come stile. La prima casa che vediamo si trova a North Perth, è una villetta singola, come tutte le case appena fuori il centro e come la maggior parte di quelle che vedremo. Se il prezzo includesse le spese e se il precedente inquilino non si portasse via tutto compreso il letto potremmo anche accettare, ma la richiesta di 155 dollari a testa più spese e il dover cercare un letto senza avere mezzi per trasportarlo, ci fa passare alla casa successiva, quella in cui lasceremo il cuore. Si trova a Victoria Park e, benchè non sia una villetta, ma un condominio, sembra deliziosa, così come gli inquilini, asiatici e australiani, come il pappagallo che hanno e come il prezzo: 275 a coppia tutto compreso. Anche qui ci prendiamo tempo, così come se ne prendono loro, perché la gente che cerca casa è tanta e infatti quando gli faremo sapere che per noi sarebbe perfetta, ci rispondono che hanno trovato un’altra coppia, peggio per loro. Giriamo per altre 5 o 6 case, scoprendo vari sobborghi di Perth, dopo ore sull’autobus e a camminare sotto il sole alla ricerca degli indirizzi, ci siamo fatti un’idea della periferia, dei mezzi di trasporto da usare per raggiungerli (il treno è di gran lunga più veloce e diretto dell’autobus, come ovunque, ma non arriva in molte zone, come ovunque) e abbiamo stilato una classifica delle case. Ho ripromesso a tutti di richiamarli in ogni caso per fargli sapere la decisione, e quando l’ho fatto avevo dei buoni propositi. Tuttavia inizia una fase di tracollo verticale che mi destabilizza, facendo perdere le buone intenzioni. Dalla casa che avevamo scelto come la più idonea – quella con pappagallo annesso – mi rispondono che hanno già trovato, il malese con la casa in stile giapponese fatta in onore della fidanzata che poi lo ha mollato (per uno meno servizievole che si droga e passa le giornate sul divano a ruttare ad ogni meta della sua squadra di rugby preferita, suppongo) mi chiama lui per dirmi che ha trovato altro. Dalle altre case - alcune sperdute, altre decisamente economiche ma decisamente troppo stile “this is london” che a malapena hanno le porte e le crepe sui muri superano gli scarafaggi – non ricevo chiamate né li chiamo io rimandando a decisione compiuta: così ne scelgo una non molto vicina, ma limitrofa alla fermata del treno, che poi è il capolinea, e che ha un grande vantaggio: quello di essere la più economica, di non richiedere né bond (che sarebbe la caparra e qui la freddura viene spontanea James Bond in italiano sarebbe Giacomo Caparra) né pagamenti in anticipo, è una stanza singola ma adattabile a doppia; Sandy, il ragazzo australiano che ci abita con due fratelli neri sudanesi di un nero ebano, ci spiega che non chiede né bond né caparra perché ovviamente per una coppia è una sistemazione temporanea in mancanza di meglio… Dopo aver fatto finta di pensarci su prima di vedere l’ultima – che merita un capitolo a parte – gli mando un sms dicendo che abbiamo scelto la sua. Nessuna risposta. Incontro un ristoratore italiano che si sconvolge per il fatto che io abbia fatto dormire una ragazza in ostello con altri maschi e mi invita a chiamare Sandy al più presto. Lo chiamo. Mi risponde, accetta! È fatta! Possiamo lasciare l’ostello. Gli dico che abbiamo ancora un giorno da fare in ostello e la mattina seguente saremo da lui. Ok, don’t worry. Ok. Ok. See you soon. La sera mi scrive un messaggio che mi lascia di sasso: la stanza è stata data ad un altro inquilino, uno che si fermerà un po’ più, qualcosa come per sempre. Rispondo cercando di mantenere la calma. Che peccato, don’t worry (don’t worry un cazzo, saltano i piani, c’è da prolungare l’ostello sperando ci sia posto, cercare ancora o scegliere tra una di quelle viste sperando che siano ancora libere). E invece lui mi risponde, con l’atteggiamento friendly che sto riscontrando in moltissimi australiani, una cosa che non gli sarebbe dovuta, ovverosia che ha già chiesto a dei suoi amici, tra cui la sorella dei suoi coinquilini, se hanno stanze disponibili e che appena gli fanno sapere ci viene a prendere con la macchina per vedere le eventuali stanze libere. Ed è così che conosciamo Susan.


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