lunedì 19 novembre 2012

Settimana dell’osso di seppia e del primo tuffo nel mare oceano (per non far torto a Baricco)




La quarta settimana è quella alla fine della quale il conto farà un mese e sarà tempo di tirare le prime somme. La quarta settima inizia sulla spiaggia di Fremantle detto Freo con Matteo che abbiamo conosciuto da Aussiejob, (agenzia di collocamento che cozza con tutti gli altri uffici visti a Perth: è messa su alla carlona, non c’è una logica apparente per i turni con cui vengono chiamati i ragazzi che vi sono assiepati: regna l’anarchia, specie la prima volta che vi si entra, ma che forse ha una sua logica e alla lunga forse darà dei frutti, come sperano tutti i ragazzi che ogni giorno l’affollano e guardano la titolare con gli occhi imploranti di chi è venuto qua con grandi aspirazioni e ora si chiude in quest’agenzia sperando che prima o poi arrivi una chiamata anche per lui. Ma in fondo siamo immigrati e dovremmo conoscere bene le condizioni estreme dei veri immigrati, noi siamo immigrati privilegiati, la situazione che ci lasciamo dietro non è tragica e il paese che ci ospita è aperto ad ogni altra cultura, razza, religione). Nonostante il paese sia aperto ad ogni tipo di immigrato e ospiti gli stranieri senza discriminazioni, da italiano mi sono imbattuto in tre macrocategorie di compaesani all’estero: ci sono gli italiani arrivati in Australia in cui non ci riconosciamo, italiani che si vede da lontano che sono italiani e – sebbene anche noi abbiamo tipici tratti italiani e un po’ spagnoli – è come se ci respingessimo a vicenda,  italiani con esigenze diverse, italiani alla moda, italiani chiassosi, italiani gelosi delle dritte che hanno, degli agganci che si sono trovati o conquistati, dei lavoretti che stanno per iniziare, italiani; poi ci sono gli italiani che sono qui da anni e anni, che hanno fatto fortuna, che hanno aperto un ristorante più o meno italiano (ho provato a fare il cameriere in uno dove di italiano c’è il nome e parte del titolare – parte perché è oriundo, è la madre l’immigrata italiana, lui come gli italo-australiani, parla un italiano obsoleto con venature di dialetto a seconda della regione di provenienza e in quest’italiano scrive il menù del ristorante), questi italiani hanno un’indole benevola, ti offrono un caffè italiano (finalmente) hanno una forma di distaccata nostalgia: hanno fatto la loro scelta, hanno lasciato la propria patria coscientemente, ma non per questo non amano il calore che ci portiamo dietro, hanno piacere di parlare finalmente un po’ di sano italiano, condito di bestemmie, vaffanculo, insulti alla situazione italiana, ovviamente a Berlusconi (a tal proposito, più avanti riporterò l’unico articolo di giornale che ho trovato che parla dell’Italia), non hanno gelosie lavorative e ti augurano il meglio, ti danno qualche dritta e poi tornano a lavorare e quando torni sarai il benvenuto; poi ci sono gli italiani come me, Flò, Germano, Marco e, appunto, Matteo. Matteo è giovane, talmente nord italiano che non sembra un compaesano,  e quindi è lui ad attaccare bottone con gli italiani, se vuole, e lo fa con noi che siamo di quel genere di italiani che hanno piacere a stare insieme, con discrezione, attenti a non esagerare, consapevoli che bisogna conoscere stranieri per imparare bene la lingua. Così con Matteo andiamo in cazzeggio per un po’, ci facciamo compagnia a vicenda, gli facciamo conoscere il ristorante arekrishna che anche noi è un po’ che non andiamo, andiamo al mare a Fremantle e, appena arrivati in spiaggia, lui fa “divertitevi ragazzi” e scappa via correndo a una velocità pazzesca nella sua magra leggerezza, lasciandoci interdetti tra gli ossi di seppia sparsi sulla sabbia, poco dopo lo vediamo sopra le rocce che delimitano il confine opposto della piccola baia e un attimo dopo è di nuovo da noi e spinti dal suo entusiasmo riusciamo a farci un bagno nell’acqua ancora troppo fredda, poi siamo noi ad allontanarci, ad andare sulle rocce più vicine ad osservare da vicino un pescatore di pesce oceanico e mi dico che tra un po’ mi toccherà provare a tirare su uno squaletto (leggi anche sardina) anche a me. Al ritorno Matteo è in meditazione e non ci nota neanche, il giorno dopo lo portiamo al parco per provare a vedere i canguri liberi e questa volta ci sono: cinque canguri non troppo grandi circondati da una decina di giapponesi timidi e spaventati che gli fanno le foto a distanza di sicurezza. Incurante della loro paura orientale, mi avvicino con prudenza occidentale al primo che vedo, mi annusa, mi scruta e si lascia accarezzare e come me si avvicinano Matteo e Flò. Un attimo dopo mi pento quando vedo che non tutti i nippi sono rimasti guardinghi a distanza di sicurezza, ma una coppia di ragazze si avvicina fino a toccarne uno, a farci foto con la tipica posizione delle dita a V e, prendendo via via più confidenza, arriva a scattargli foto con un areoplanino sulla schiena umiliando il simbolo dell’australia. Repentino il canguro umiliato si alza sulla coda e con un doppio calcio, con l’artiglio dell’unico dito del piede posteriore, colpisce al volto le due ragazze sfigurandole a vita e per una volta si fa carnivoro e banchetta con gli Hellokitty che sgorgano dalle ferite aperte. Naturalmente - purtroppo - questa fantasia si concretizza soltanto nei miei osceni pensieri. A fine pomeriggio Matteo ci saluta: all’alba del giorno seguente partirà con una ragazza tedesca diciottenne - che ci ha fatto conoscere il giorno prima e verso cui abbiamo dato il nostro benestare - e il suo furgone verso il sud. L’Australia è grande ma ci rincontreremo. Quel giorno perdo un amico, ma prendo il raffreddore.


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