sabato 10 novembre 2012

Arnold è suo fratello

L’altro dettaglio riguarda la vita in casa, la sala, il maxischermo in tv e quell’ombra che avevamo intravisto uscire dalla porta il giorno che abbiamo fermato la casa. Non che necessitiamo della sala… quando abbiamo una camera, un cesso, un bagno (che sono due cose diverse), una cucina, un tavolo fuori è già abbastanza, ma già che c’è ti verrebbe da andarci a sentire un po’ di tv per entrare nella lingua. Invece, sin dalla mattina dopo il nostro arrivo, capiamo che c’è qualcosa di strano: la televisione è accesa a volume basso e si sente provenire una sorta di rantolo, un respiro affannoso, è qualcuno che russa. Forse è Susan che si è addormentata, non indaghiamo. La sera la situazione è la stessa, la mattina seguente idem. Ma la macchina di Susan non c’è, dev’essere qualcun altro e infatti di lì a poco la presenza si alza e viene nella nostra direzione, ci saluta come vecchi amici e va al cesso. Il bianco dei suoi occhi riluce sulla sua pelle resa ancora più scura dal cappuccio della felpa militare che indossa. Tornato dal cesso si presenta, è William – ci dice il nome con la bocca impastata dal sonno, noi non capiamo e lo ribattezziamo Arnoldino – è il fratello di Susan, un altro dei fratelli, non capisco bene cosa stia facendo da tre giorni sul divano. Ipotizzo sia una soluzione temporanea, sia agli arresti domiciliari, si stia nascondendo da qualcosa, ma con l’andare del tempo mi accorgerò più semplicemente che fa una sorta di couchsurfing a casa della sorella e la sala è la sua stanza e dorme una cifra spropositata di ore al giorno e che forse ha un divano antidecubito. Mentre ipotizzo lui è già tornato a dormire. A volte lo incontriamo anche sveglio, ma è sempre caracollante, con passo incerto, come se non fosse completamente sveglio. Si muove perlopiù la notte quando noi dormiamo. È di notte che, tornando da una serata, si avventa su una delle due ciabatte (il pane) che avevo cucinato la sera prima e avevo colpevolmente lasciato sul piano della cucina a freddare. La mattina che mi sono accorto dell’assenza di una ciabatta, cioè metà della mia prima produzione di pane australiana, ho avuto un mancamento. Ma, pensando alla salute del piccolo Arnoldino, che troppe volte abbiamo incrociato con buste di McDonald o simili, mi convinco sia andato per una giusta causa e sorvolo. In seguito arriveranno anche le scuse di Susan per conto di Arnold, prima, e del diretto interessato, poi, che riconosce anche la bontà del prodotto! Qualche mattina dopo, un sabato, fatta colazione, usciamo sul retro a prendere il caffè, lo troviamo seduto su una sedia con una bottiglia d’acqua in mano, il computer di fronte e lui seduto che dorme. Ogni tanto sembra svegliarsi, tenta di portare l’acqua alla bocca, ma, stremato dallo sforzo, rinuncia e torna a dormire. La scena si ripete per circa venti minuti, al termine dei quali si sveglia d’improvviso e inizia a raccontarci la sua vita, il brutto incidente che ha avuto, la cura sbagliata dei medici, il torpore perenne che gli prende gamba e spalla (ma sembrerebbe anche il resto del corpo), la paura di tornare in ospedale, le scuse per il pane che ci ha rubato, le spiagge di Perth, la spiaggia di Cottesloe, di Fremantle e di Scarborough, la paura del mare, la paura degli squali, la surfista a cui uno squalo ha staccato un braccio con un morso e che ora surfa ancora senza il braccio, la pizza di Domino’s (che sostiene abbia un ottimo rapporto qualità/prezzo) che ci porterà per cena perché siamo una grande famiglia, perché mi ha preso il pane, altre scuse. Poi la sera, con una voglia di pizza incredibile, lo vediamo tornare a mani vuote, ma ci fa “I did not forget pizza” ma era troppo tardi quindi sarà per un’altra volta, rispondiamo che avevamo già mangiato e non ci pensiamo più. Qualche tempo dopo, senza preavviso ci bussano alla porta. È la notte di Halloween, cerchiamo dei dolcetti da regalare, ma quando apriamo la porta vediamo che è solo il tipo della consegna pizze di Domino’s, cerca un certo William, ora finalmente capiamo il nome, provo a svegliarlo. Lo chiamo, mi avvicino, lo chiamo, all’ingresso della sala-tugurio, nessuna risposta, continuo ad avvicinarmi e sto per perdere le speranze quando spalanca gli occhi nel nero della stanza e scatta in piedi. Va alla porta trascinandosi le coperte che lo avvolgono, paga la pizza e ci chiama perché aveva stabilito, senza chiederci nulla, che quello era il giorno che ce le avrebbe offerte. Pizze troppo cariche, pizze farcite poco meglio che a caso, ma pizze. La sua si chiama extra meat, ed è ricoperta di quattro diversi strati di ciccia. “Assaggia la mia che io assaggio la tua mentre lui assaggia la tua” ed è così che abbottatissimi, ci innamoriamo di Arnoldino, ma intanto lui è già tornato a dormire.


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