Kununurra sembra un'isola felice fatta di integrazione tra bianchi e aborigeni, invasa da backpacker in cerca di farm. Il campeggio è pregno di giovani francesi che hanno il merito di sembrare i più adattabili alla vita povera, ma hanno quel loro modo spocchioso di fare combriccola e quella capacità di impossessarsi di tutti gli spazi comuni che li rende scarsamente sopportabili. Eppure loro ci sono, gli italiani invece sembrano troppo affezionati agli agi di città.
A Kununurra il clima è più
mite, se mite è la parola adatta, meglio dire clemente, con una
leggera brezza e qualche montagna a fare ombra mattina e sera. Ci
fermiamo un paio di giorni, non tanto per il clima, quanto perchè
arriviamo di sabato e nel week-end è dura cercar lavoro. Lunedì
valuteremo il da farsi.
La parabola del sole fa un giro
diverso, sembra aver fretta di sorgere e di tramontare per risorgere
e quando è alto scaldare ogni cosa, ma la sua parabola diurna non è
perfettamente centrata e le ombre non scompaiono mai perchè la sua
traiettoria arriva di striscio allo zenith.
La vita nel campeggio alle
pendici del Mirima National Park scorre con una lentezza che cozza
con la frenesia con cui avevamo preso a macinare strada. I backpacker
qui non sono molti e sembrano essere qui da sempre. Chiacchierando di
domenica pare di capire che siamo arrivati in un buon momento, prima
del grande flusso migratorio che riempirà campeggi e ostelli.
Fiduciosi cerchiamo spazi ombreggiati e aspettiamo.
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