Tra le carcasse incontrate lungo il cammino ho riconosciuto tutti gli animali visti da vivi eccetto le aquile che sanno il fatto loro e spiccano il volo all'ultimo o si limitano a un balzello sull'altra corsia e non ho visto pappagalli. Nessuno degli esemplari coloratissimi, o bianchi con la cresta o neri con la macchia rossa sulla coda sembra essere soggetto a decessi sul ciglio o in mezzo alla strada.
Tra le montagne rosse di pietre
e verdi di piccoli cespugli, guidavo lento quando, dalla destra, un
turbinio verde fluorescente di ali di pappagalli si è levato da un
albero lungo la strada e i pennuti sono sembrati particolarmente
incuriositi dal van con quello strano disegno e ci si sono diretti
molto vicino. Non devono avere la vista di falco. Uno in particolare
è apparso dannatamente miope tanto da schiantare la graziosa
testolina su quella più grande di Bender e lì, in quello scontro di
teste, lasciarci letteralmente le penne. Sullo specchietto seguivo il
volo spezzato e la caduta rovinosa e fatale rotolante verso sud, o
ferma in quel punto mentre noi procedevamo a nord, ho visto una palla
verde già meno brillante rotolare sconnessa sull'asfalto sempre più
piccola e, per un millesimo di secondo, un riflesso di sole nel becco
che non avrebbe più cantato.
Eravamo quasi a Kununurra e
avevamo ucciso il nostro primo animale in più di 5000km percorsi.
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