venerdì 11 gennaio 2013

Poi d’improvviso ne avvistano un’altra, ma stavolta scappi




 Il settimo giorno – non si tratta di giorni tra essi consecutivi, ma dei giorni in cui ci siamo recati in questa riserva naturale a sud di Fremantle – è un venerdì sera, c’è ancora tempo per un’ora di bagno prima che il sole si immerga nell’acqua. Con noi portiamo un pallone da calcio trovato a casa e un altro coinquilino a cui ancora non avevamo mostrato il posto. Siamo vicino al porticciolo dei pescatori, siamo in acqua a giocare a pallavolo, i pescatori sono più lontano, in fondo a quella striscia di asfalto che solca il mare per un centinaio di metri. Il sole scende lento. È ormai molto che siamo in acqua, quando sentiamo gridare, ci voltiamo e vediamo i pescatori in fibrillazione, uno di loro sta correndo con la canna verso la spiaggia, tra gli altri pescatori, che inseguono quello con la canna guardando dalla parte opposta rispetto a dove siamo noi, qualcuno grida “SHARK!”. Al secondo “shark” già stiamo correndo verso la terraferma, al terzo siamo fuori dall’acqua. Il pescatore è ormai sul bagnasciuga con una canna neanche troppo impressionante ma un mulinello enorme e un filo così spesso che taglia la luce del tramonto fino a perdersi in un punto imprecisato del mare. Tutti sono fuori dall’acqua, tutti sono intorno al pescatore. C’è solo un ragazzo in acqua fino alla vita di fianco alla traiettoria della lenza e serenamente, con un guanto e un paio di pinze, attende l’arrivo dell’enorme preda. Il pescatore è concentrato e procede in avanti sino a dove si spegne l’onda mare e torna indietro per una decina di metri, mentre lo fa riavvolge metri e metri di filo, è visibilmente provato, l’altro ragazzo è ancora lì che attende. Dopo un periodo di tempo che sembra lunghissimo, ma dev’essere non più di cinque minuti, di fianco al ragazzo in acqua si scorge distintamente la sagoma della pinna che non è quella romantica dei delfini. Sotto la pinna c’è uno squalo tigre di due metri e qualcosa. Incurante delle tante storie di attacchi che coinvolgono i surfisti di questa parte dell’australia, il ragazzo lo accompagna, fin fuori l’acqua. Come se stesse dando la precedenza alla propria donna all’ingresso del ristorante con la mano poggiata appena sopra il sedere mentre la invita ad entrare per prima, così prende il mostro per la pinna e lo fa accomodare sulla riva a riposarsi da questa lotta. Lo squalo sembra rassegnato ad aver perso, alla brutta fine che lo aspetta, a ritrovarsi diviso in pezzi da destinarsi ai mercati del pesce, sino a finire attaccato al collo di ragazzini australiani fanatici di denti di squalo. La poca resistenza che oppone si spegne dopo le manovre di sgombro dell’immenso amo dalle sue fauci, dentro cui armeggia tranquillo il ragazzo che lo aspettava. Dalla bocca dello splendido animale, divenuto innocuo, penzola qualcosa di rosso e vivo, sembra che abbia mezzo metro di lingua fuori, poi scoprirò essere lo stomaco. Quando lo squalo è libero dall’amo, il pescatore lascia che i pescatori asiatici posino vicino alla bestia ormai priva di vita per le solite foto con le dita a V, finchè egli stesso si concede la foto di rito da inviare a qualche rivista di pesca, come pescatore del giorno. L’esperienza è talmente fuori dalla mia immaginazione che mi trovo a scattare foto con il cellulare per fortificare la testimonianza dell’esperienza. E, ora che ha perso di pericolosità, azzardiamo anche noi e lo tocchiamo. Tutto vero, tranne che lo squalo con le budella penzolanti sia morto. Sempre lui, questo ragazzo australiano, moro, con gli occhi piccoli e neri e iniettati di sangue di chi vive in mare, con la calma di chi si trova nel suo habitat naturale, riprende l’enorme pesce e, tra lo stupore generale, lo riaccompagna in acqua tenendolo per la pinna, si immerge con lui, gli apre la bocca, manipola le interiora e le rimette a posto come fosse la cosa più facile al mondo, lo scuote, gli ricorda il movimento che deve fare per nuotare, e lo lascia. E lo squalo tigre da due metri e poco più, potenzialmente mortale, senza fare caso a colui che è ancora in acqua riparte verso il mare aperto. Non posso non parlare con il tipo, mi dice che lo squalo sta bene, che assolutamente non vogliono ucciderli, lo fanno “just for fun”, che non è il primo, che hanno tirato su anche squali martello, non ci voglio credere, uno squalo martello credo potrei abbracciarlo per percepire l’esistenza di una creatura tanto enigmatica.





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IL SALTO DEL KOALA by FABIO MUZZI is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License.