domenica 6 gennaio 2013

Poi d’improvviso la vedi



Il primo giorno vediamo la nuova casa, la tipa che la gestisce ci dice che dalla sua camera vede il mare. Ci sbrighiamo a pagarle una cifra irrisoria per fermare la stanza e andiamo a cercare questo mare così vicino. Vaghiamo un po’ con la macchina finchè non troviamo uno di quei segnali stradali marroni che indicano luoghi particolarmente interessanti, si chiama Jhon Graham Reserve. La stradina porta in un altro degli splendidi parchi che è così facile trovare qui, prato all’inglese, barbeque predisposti per abbrustolire chili di carne, ma quel primo giorno il parco non ci interessa, è solo il contorno del parcheggio. Tiriamo dritto e, percorsi neanche cento metri, siamo sulla spiaggia. A destra e a sinistra una distesa di sabbia, di fronte un porticciolo che si incunea nell’acqua per cento metri per poi biforcarsi alla fine dove forma una sottile T. Sopra questa T di cemento si accalcano pescatori esperti o improvvisati di ogni età e origine. Tra i pescatori, quattro enormi pellicani attendono placidi scarti di esche o pesci troppo piccoli. Tutti sembrano pescare.
Il secondo giorno che torniamo al mare in questa riserva è dopo esserci trasferiti a casa. Stavolta andiamo per testare la spiaggia, facciamo un giro tra i pescatori, a cui stavolta non sta andando troppo bene, torniamo in spiaggia per il primo bagno.
Il terzo giorno che vi torniamo siamo provvisti di canne da pesca comprate a 30 dollari l’una da due ragazzi in partenza per nuove mete. Proviamo anche noi, ma non abbiamo esche. Il rimasuglio di osso di pollo di una fugace cena drive-through da kfc potrebbe funzionare. Proviamo ma ovviamente non c’è risposta dai pesci che, se non fossero muti, ci prenderebbero a male parole.
Il quarto giorno ho preso una pastura e degli ami colorati che usano anche gli altri pescatori, la pastura sembra attirare i pesci, gli ami che non hanno bisogno di esca non sembrano allettarli troppo. Solo uno, forse per sbaglio, abbocca. A fine pescata il dubbio se tenerlo o ributtarlo, viene sciolto dal pesce che nel frattempo è morto.
Il quinto giorno arriviamo a quella che nella mia testa è l’alba, ma non per il sole che è già sorto da un paio d’ore. Al porticciolo ci sono solo quattro anziani pescatori che addrizzando le orecchie sembrano essere italiani anche se l’italiano che usano è un dialetto ormai in disuso nella terra natale. Provo l’approccio ma non mi cagano, credo sia per il mio modo di fare somaro a pesca. Non mi preoccupo, il mio modo di pescare è un tentativo di stringere un legame con la natura, di apprezzare il silenzio, di osservare l’evolversi del giorno, di sciogliere i pensieri dai nodi e farli scorrere lontano e se pesco ho da mangiare, altrimenti faccio spesa. Sto beatamente facendo somaro con lo sguardo rivolto all’orizzonte quando vedo spuntare una pinna. Non è come chi per primo vede l’America, perché lui si aspetta di vederla da un momento all’atro. Io semplicemente guardo in là e una pinna in Australia può significare molte cose in quest’anno in cui gli squali presidiano le coste e io ho paura di fare il bagno con la maschera perché non mi piace pensare che l’ultima immagine nitida che posso ricordare è una bocca spalancata con tre file di denti aguzzi. Un’altra pinna vicina, il dorso a cui è attaccata forma una mezzaluna perfetta, una mezza sfera blu lucente oltre il pelo dell’acqua. È un attimo. Ma è innegabile che siano delfini. Come si racconta che facesse chi per primo vedeva l’America grido “DELFINI!”. Non uno dei pescatori italiani presta attenzione alle mie parole, ma quando mi volto dietro, la ragazza alla mie spalle sta già piangendo di commozione, mentre loro – i delfini – si stanno progressivamente avvicinando al porticciolo. Si avvicinano fino a una decina di metri, finchè, intelligenti come sono, non realizzano che meno della metà delle persone sono state toccate dalla loro presenza e così interrompono la manovra di avvicinamento e virano per altri lidi per cercare altre e migliori anime sensibili.
Rimane la consapevolezza che fare somaro non è mai stato così piacevole.
Dal sesto giorno il caldo si fa difficile da sopportare e  inizio a dedicarmi esclusivamente e con una certa costanza a fare il bagno presto di mattina che a dicembre una fortuna del genere non so se e quando mi ricapita.



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IL SALTO DEL KOALA by FABIO MUZZI is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License.