martedì 18 dicembre 2012

Il pianeta rosso e la costellazione indiana



C’è una ragazza in strada a Freo che è appena arrivata, ma sembra sia lì da sempre. Intorno al pianeta rosso del suo cuscino, che usa per attutire la durezza del mondo, gravita una costellazione di personaggi, artisti di strada, venditori, gente che si apre al suo sorriso, ricambiandolo. Lei sembra essere lì da sempre, ma se ti avvicini, dal suo inglese, capisci che è appena caduta sotto l’ombra di quella pianta su cui si arrampicano bimbi scimmia, o sotto l’ombra delle verande dei ristoranti cinesi dove i genitori dei bimbi scimmia pranzano o cenano; lei è sempre lì, è l’ombra che si sposta, cercandola. Proteggendola.
Il cielo blu che confina col suo pianeta rosso è un tappeto cosparso di oggetti che ricordano gli ornamenti delle donne indiane prima del matrimonio. Ma la ragazza può anche, e soprattutto, trasformare piume in orecchini, treni in collane, orche in bracciali, conchiglie in ciò che la tua fantasia segreta e bambina sogna ma non oserebbe raccontarti.
Se il tempo sta per cambiare, lei lo percepisce in anticipo e le si inceppa la F di fifteen, ma, come per il motore delle vecchie auto, basta dare due o tre colpetti e tutto riparte e come le per le vecchie auto. “Il bello contro il pratico è un atavico duello, io mi sono già schierato con lei che è così bella” cantava qualcuno.
Come se stesse lì da sempre, tutto sembra ruotarle intorno: nuovi venditori chiedono il suo consenso per sederle accanto, aborigeni e vecchi saggi indiani si chinano sino a sfiorare il suo pianeta per baciarla in segno di rispettoso saluto, un eclettico batterista in pensione per un’imprecisata turba mentale, le fa da mentore: consigliere musicale su ciò che avviene in città e sulle sue future session, da consigliere alimentare sul momento migliore per comprare al mercato: la domenica dalle 4 di pomeriggio i venditori di frutta e verdura cinesi svendono tutti i loro prodotti a un dollaro ed è un delirio di mercanti che urlano “One dolla! One dolla!”, o chi ha più fretta “dolla! dolla! dolla!”. Pedro, del market del centro, l’ha vista così wonderful e beautiful e le ha chiesto di vendere anche dei suoi oggetti dai colori e tessuti dalle fattezze nepalesi, che lui è troppo stanco e si limita a vecchie insegne americane anni ’50.
L’universo si riempie di cose, colori, forme, tradizioni, e lei è lì che veglia silenziosa come farebbe un dio creatore. La ragazza è seduta e guarda sia i lenti turisti che i frettolosi lavoratori dal basso all’alto, ma, come se si rimpiccolissero, tutti quelli che passano scendono al suo livello quando costeggiano il suo pianeta rosso e si scambiano un cenno di saluto inevitabile. Naturalmente non sono solo saluti: sono in molti che si fermano a contemplare le trame indiane, o i suoi oggetti creati a mano o quelli cuciti con meticolosa precisione passando e ripassando le proprie sottili dita sotto la mitragliatrice della sua Singer del ’52, gentilmente offerta da un italiano e riparata da un altro, entrambi ammaliati dal genuino calore del suo sorriso (uno di più).

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