sabato 9 febbraio 2013

i wish you could swim






Generalizzando - ragionando sulla teoria dei vasi comunicanti, sul fatto che tutto il mondo emerso, in fondo, è un’isola (o meglio un insieme di isole) circondata da una distesa d’acqua salata che per comodità è stata divisa secondo zone – generalizzando si potrebbe anche pensare che ogni qual volta ci si tuffa in mare si sta facendo il bagno con ogni animale che vive nell'acqua, si fa il bagno insieme agli squali, ai delfini, alle meduse, a milioni di sardine, le balene, i cavallucci marini, tutti.
Generalizzando.
In realtà, quando ci si tuffa, ci si sente in relazione soltanto con ciò che si percepisce, solo con ciò che si vede. Senza una maschera che chiarisca e ingrandisca i contorni sfocati del mare più cristallino si è soli, contornati da animali che ti osservano indifferenti, spaventati, o curiosi a seconda dell’irruenza del tuo stare sommerso.
Succede a volte che non sia necessaria una maschera per vedere l’animale con cui stai facendo il bagno, né la luce del sole, per quanto è grande.
Succede nel solito posto, nel posto che incomincio a pensare abbia qualcosa di magico, nel posto che incomincio ad odiare perché so che a breve dovrò abbandonare e che, se continua a darmi così tanto, non sarà per nulla facile. Succede al Jhon Graham Reserve, che poi ho scoperto chiamarsi anche Woodman Park sette km al sud di Freo.
Succede che quel venerdì pomeriggio non lavoravo, avevo staccato alle una e avevo voglia di birra e/o sidro e allora me ne andavo con la macchina al bottleshop vicino casa in cerca di refrigerio alcolico. Succede che lì incontro Morgan il nuovo coinquilino belga, che pur di prendere una cassa di birra si sarebbe fatto la strada a piedi, con il pesante bottino, gli offro un passaggio e ci sediamo in veranda a raccontarci le nostre storie, mentre lui per sdebitarsi del passaggio continua ad aprire birre. Succede che, parlando, viene fuori il discorso della pesca e io dico che ho due canne e che si può andare in serata. Alle quattro è ancora troppo caldo. Alle quattro sono sbronzo. Alle quattro torna Flò. Alle quattro devo dormire un po’. Alle sei si andrà. E si va, lasciando detto ad altri coinquilini di raggiungerci appena possono.
Io, Flò e Morgan, due canne già pronte, che avevo preparato osservando i pescatori intorno tempo indietro, una scatola di mangime per gatti, il mio scetticismo visti i risultati passati, l’ottimismo di Morgan che in passato aveva già pescato (facendo sempre somaro).
Il porticciolo è pieno. Ci facciamo spazio vicino a una famiglia di orientali che pescano con il nostro stesso metodo, cioè siamo noi che imitiamo loro, ovvero con una serie di piccoli ami colorati senza niente attaccato. Le mie canne sarebbero pronte ma Morgan decide di smontare il mio lavoro su una delle due e attaccare un solo amo grosso per metterci il mangime del  gatto. Nel vedere l’operazione, nel veder vanificare tutto quel lavoro, quell’osservare gli altri, quel preparare la canna con i giusti ami, mi sento mancare. Eppure sembra sapere quello che fa. Gli orientali pescano a ritmi forsennati, Morgan continua a perdere l’esca decisamente poco propensa a restare attaccata all’amo, Flò ci prova, ma sembra esserci qualcosa di sbagliato e continuiamo a restare a secco. Propongo a Morgan di tornare alla montatura originale, svuoto il mangime del gatto in acqua e i pesci arrivano anche da noi. Si tratta di sardine, una marea di sardine, o qualcosa del genere. Mentre la luce del sole si affievolisce, cambia qualcosa e iniziamo a pescare con una frequenza incredibile. Morgan è quello che ha meglio capito il metodo e tira su sardine per la bocca, ma anche per gli occhi, la pancia la coda. Sono così tante che basta dare un colpo secco. Quando intorno si fa buio, quando si accendono i due lampioni ad illuminare i pescatori troppo presi a cacciare pesci o granchi da non accorgersi del tramonto alle spalle, quando arriva il buio arrivano tre degli altri coinquilini. Si accorgono subito che qualcosa stia andando per il verso giusto dal sorriso ebete stampato sui nostri volti increduli. Anche loro vogliono provare, ma la magia sta scemando. O sta incominciando.
Mentre pescano, di fronte alla punta delle canne si materializza un delfino. Intorno c’è l’indifferenza di chi è abituato alla visione. Lui intanto nuota, spruzza, saluta, si immerge e riemerge, saluta tutti fa avanti e indietro di fronte ai pescatori, lo fa una volta, la seconda passa e mangia una sardina morta che galleggia tra le canne, inizio a fremere, penso di tuffarmi nel nero dell’acqua, tra enormi granchi che nuotano in superficie. La terza volta lo dico e Morgan e Chris approvano. Gli tiro una sarda, si avvicina per mangiarla e nel frattempo noi ci siamo svestiti, siamo sulla scaletta che porta diretti in acqua, siamo dentro, siamo a un metro dal delfino siamo quattro enormi creature sulla superficie dell’oceano a una distanza così prossima che commuove. Lui sta lì, mantiene un metro di distanza, per qualche secondo, di quei secondi che nel ricordo durano una vita.
I wish you could swim, like dolphins can swim. We can be heroes just for one day
A casa, negli occhi ancora sognanti, ci sono una cinquantina di sarde da spellare, squartare, sbudellare, decapitare. A casa la magia è finita, per ora, ma è impressa nel ricordo.



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IL SALTO DEL KOALA by FABIO MUZZI is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License.