Susan è la sorella di James e di Emanuel che abitano con
Sandy, ma non solo. Mentre ci dirigiamo in auto verso casa sua con Sandy e
James, scopriamo che sono sette fratelli. Il dettaglio sarebbe irrilevante se
di lì a breve non ci accadesse di imbatterci ripetutamente in uno di essi.
Arrivati di fronte alla casa, bussiamo alla porta (come in America niente
citofoni, si apre la porta antizanzara e si bussa), passa del tempo prima che
Susan, la nostra Beyoncé tutta d’un pezzo, venga ad aprirci. Mentre ci mostra
la casa sentiamo dei movimenti provenire dalla sala, come di qualcuno che stia
scappando dalla porta sul retro. Ci voltiamo ed effettivamente notiamo un’ombra
uscire dalla porta che dà sul giardinetto dietro casa (altra caratteristica
delle abitazioni – non l’ombra che fugge, quanto il giardino dietro). Abbattuti
dalle precedenti delusioni in fatto di scelta di casa, decidiamo di non
indagare e visto, che tutto sommato, la casa si presenta come accettabile via
di mezzo tra quelle viste, decidiamo di fermarla. E tiriamo un sospiro di sollievo.
L’appuntamento è per il giorno dopo alla fermata della metro
dove, gentilmente, ci ha accompagnato Sandy al termine della visita della casa.
Il giorno seguente salutiamo la prima breve esperienza in
ostello, ci carichiamo gli enormi zaini in spalla e, schiacciati dal carico
come muli da soma, prendiamo la metro. Ci dirigiamo verso la fermata indicata
dove Susan verrà a prenderci. Nell’emozione del giorno prima non abbiamo fatto
caso al nome della fermata, ma ci ricordiamo bene che dobbiamo prendere la
linea gialla e scendere alla seconda. Così facciamo. E così ci ritroviamo in
una fermata simile, ma decisamente non uguale a quella che avevamo nella
memoria – che si sa a volte gioca degli scherzi, ma a così breve distanza
saremmo da ricovero. In quella fermata sconosciuta, chiamo Susan che non
risponde. Capita a volte di sentirsi soli e abbandonati, quella è una di
quelle. Le mando un messaggio, ma non risponde. Ripiego su Sandy a cui chiedo
il nome della fermata, mi dice essere Oats Street, che, chiedendo a chi aspetta
la metro con noi, risulta essere diverse fermate dopo. Scopro così che la linea
gialla è l’unica ad avere due diverse linee parallele, entrambe fermano in Oats
Street, ma una fa poche fermate e l’altra tutte. Con qualche patema arriviamo
alla giusta fermata, ma dovremo ancora attendere una mezz’ora fatta di ansie e
pensieri neri sul fatto che la casa sia stata affittata ad altri più belli, o
che si trattasse solo di uno scherzo orchestrato dall’apparentemente gentile
Sandy e i suoi amici di colore, prima che Susan si faccia viva e risponda che
sta venendo a prenderci. Tiriamo l’ennesimo sospiro di sollievo. Imparerò
strada facendo che l’affidabilità degli autoctoni negli appuntamenti è
decisamente scarsa, ma vivendo la vita in modo molto easy, non dev’essere un
problema, take it easy, mate! (ma ancora non mi ci sono abituato).
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