La quarta settimana è quella alla fine della quale il conto
farà un mese e sarà tempo di tirare le prime somme. La quarta settima inizia
sulla spiaggia di Fremantle detto Freo con Matteo che abbiamo conosciuto da
Aussiejob, (agenzia di collocamento che cozza con tutti gli altri uffici visti
a Perth: è messa su alla carlona, non c’è una logica apparente per i turni con
cui vengono chiamati i ragazzi che vi sono assiepati: regna l’anarchia, specie
la prima volta che vi si entra, ma che forse ha una sua logica e alla lunga forse
darà dei frutti, come sperano tutti i ragazzi che ogni giorno l’affollano e
guardano la titolare con gli occhi imploranti di chi è venuto qua con grandi
aspirazioni e ora si chiude in quest’agenzia sperando che prima o poi arrivi
una chiamata anche per lui. Ma in fondo siamo immigrati e dovremmo conoscere
bene le condizioni estreme dei veri immigrati, noi siamo immigrati privilegiati,
la situazione che ci lasciamo dietro non è tragica e il paese che ci ospita è
aperto ad ogni altra cultura, razza, religione). Nonostante il paese sia aperto
ad ogni tipo di immigrato e ospiti gli stranieri senza discriminazioni, da italiano
mi sono imbattuto in tre macrocategorie di compaesani all’estero: ci sono gli
italiani arrivati in Australia in cui non ci riconosciamo, italiani che si vede
da lontano che sono italiani e – sebbene anche noi abbiamo tipici tratti
italiani e un po’ spagnoli – è come se ci respingessimo a vicenda, italiani con esigenze diverse, italiani alla
moda, italiani chiassosi, italiani gelosi delle dritte che hanno, degli agganci
che si sono trovati o conquistati, dei lavoretti che stanno per iniziare,
italiani; poi ci sono gli italiani che sono qui da anni e anni, che hanno fatto
fortuna, che hanno aperto un ristorante più o meno italiano (ho provato a fare
il cameriere in uno dove di italiano c’è il nome e parte del titolare – parte
perché è oriundo, è la madre l’immigrata italiana, lui come gli
italo-australiani, parla un italiano obsoleto con venature di dialetto a
seconda della regione di provenienza e in quest’italiano scrive il menù del
ristorante), questi italiani hanno un’indole benevola, ti offrono un caffè
italiano (finalmente) hanno una forma di distaccata nostalgia: hanno fatto la
loro scelta, hanno lasciato la propria patria coscientemente, ma non per questo
non amano il calore che ci portiamo dietro, hanno piacere di parlare finalmente
un po’ di sano italiano, condito di bestemmie, vaffanculo, insulti alla
situazione italiana, ovviamente a Berlusconi (a tal proposito, più avanti riporterò
l’unico articolo di giornale che ho trovato che parla dell’Italia), non hanno
gelosie lavorative e ti augurano il meglio, ti danno qualche dritta e poi
tornano a lavorare e quando torni sarai il benvenuto; poi ci sono gli italiani
come me, Flò, Germano, Marco e, appunto, Matteo. Matteo è giovane, talmente
nord italiano che non sembra un compaesano,
e quindi è lui ad attaccare bottone con gli italiani, se vuole, e lo fa con
noi che siamo di quel genere di italiani che hanno piacere a stare insieme, con
discrezione, attenti a non esagerare, consapevoli che bisogna conoscere
stranieri per imparare bene la lingua. Così con Matteo andiamo in cazzeggio per
un po’, ci facciamo compagnia a vicenda, gli facciamo conoscere il ristorante
arekrishna che anche noi è un po’ che non andiamo, andiamo al mare a Fremantle
e, appena arrivati in spiaggia, lui fa “divertitevi ragazzi” e scappa via
correndo a una velocità pazzesca nella sua magra leggerezza, lasciandoci
interdetti tra gli ossi di seppia sparsi sulla sabbia, poco dopo lo vediamo
sopra le rocce che delimitano il confine opposto della piccola baia e un attimo
dopo è di nuovo da noi e spinti dal suo entusiasmo riusciamo a farci un bagno nell’acqua
ancora troppo fredda, poi siamo noi ad allontanarci, ad andare sulle rocce più
vicine ad osservare da vicino un pescatore di pesce oceanico e mi dico che tra
un po’ mi toccherà provare a tirare su uno squaletto (leggi anche sardina) anche
a me. Al ritorno Matteo è in meditazione e non ci nota neanche, il giorno dopo
lo portiamo al parco per provare a vedere i canguri liberi e questa volta ci
sono: cinque canguri non troppo grandi circondati da una decina di giapponesi
timidi e spaventati che gli fanno le foto a distanza di sicurezza. Incurante
della loro paura orientale, mi avvicino con prudenza occidentale al primo che
vedo, mi annusa, mi scruta e si lascia accarezzare e come me si avvicinano Matteo
e Flò. Un attimo dopo mi pento quando vedo che non tutti i nippi sono rimasti
guardinghi a distanza di sicurezza, ma una coppia di ragazze si avvicina fino a
toccarne uno, a farci foto con la tipica posizione delle dita a V e, prendendo
via via più confidenza, arriva a scattargli foto con un areoplanino sulla
schiena umiliando il simbolo dell’australia. Repentino il canguro umiliato si
alza sulla coda e con un doppio calcio, con l’artiglio dell’unico dito del piede
posteriore, colpisce al volto le due ragazze sfigurandole a vita e per una
volta si fa carnivoro e banchetta con gli Hellokitty che sgorgano dalle ferite
aperte. Naturalmente - purtroppo - questa fantasia si concretizza soltanto nei
miei osceni pensieri. A fine pomeriggio Matteo ci saluta: all’alba del giorno
seguente partirà con una ragazza tedesca diciottenne - che ci ha fatto
conoscere il giorno prima e verso cui abbiamo dato il nostro benestare - e il
suo furgone verso il sud. L’Australia è grande ma ci rincontreremo. Quel giorno
perdo un amico, ma prendo il raffreddore.
Le hai più tirate le somme, fabie'?
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