C’è una ragazza in strada a Freo che è appena arrivata, ma
sembra sia lì da sempre. Intorno al pianeta rosso del suo cuscino, che usa per
attutire la durezza del mondo, gravita una costellazione di personaggi, artisti
di strada, venditori, gente che si apre al suo sorriso, ricambiandolo. Lei
sembra essere lì da sempre, ma se ti avvicini, dal suo inglese, capisci che è
appena caduta sotto l’ombra di quella pianta su cui si arrampicano bimbi
scimmia, o sotto l’ombra delle verande dei ristoranti cinesi dove i genitori
dei bimbi scimmia pranzano o cenano; lei è sempre lì, è l’ombra che si sposta,
cercandola. Proteggendola.
Il cielo blu che confina col suo pianeta rosso è un tappeto
cosparso di oggetti che ricordano gli ornamenti delle donne indiane prima del
matrimonio. Ma la ragazza può anche, e soprattutto, trasformare piume in
orecchini, treni in collane, orche in bracciali, conchiglie in ciò che la tua
fantasia segreta e bambina sogna ma non oserebbe raccontarti.
Se il tempo sta per cambiare, lei lo percepisce in anticipo
e le si inceppa la F di fifteen, ma, come per il motore delle vecchie auto,
basta dare due o tre colpetti e tutto riparte e come le per le vecchie auto.
“Il bello contro il pratico è un atavico duello, io mi sono già schierato con
lei che è così bella” cantava qualcuno.
Come se stesse lì da sempre, tutto sembra ruotarle intorno:
nuovi venditori chiedono il suo consenso per sederle accanto, aborigeni e
vecchi saggi indiani si chinano sino a sfiorare il suo pianeta per baciarla in
segno di rispettoso saluto, un eclettico batterista in pensione per
un’imprecisata turba mentale, le fa da mentore: consigliere musicale su ciò che
avviene in città e sulle sue future session, da consigliere alimentare sul
momento migliore per comprare al mercato: la domenica dalle 4 di pomeriggio i
venditori di frutta e verdura cinesi svendono tutti i loro prodotti a un
dollaro ed è un delirio di mercanti che urlano “One dolla! One dolla!”, o chi
ha più fretta “dolla! dolla! dolla!”. Pedro, del market del centro, l’ha vista
così wonderful e beautiful e le ha chiesto di vendere anche dei suoi oggetti
dai colori e tessuti dalle fattezze nepalesi, che lui è troppo stanco e si
limita a vecchie insegne americane anni ’50.
L’universo si riempie di cose, colori, forme,
tradizioni, e lei è lì che veglia silenziosa come farebbe un dio creatore. La
ragazza è seduta e guarda sia i lenti turisti che i frettolosi lavoratori dal
basso all’alto, ma, come se si rimpiccolissero, tutti quelli che passano
scendono al suo livello quando costeggiano il suo pianeta rosso e si scambiano
un cenno di saluto inevitabile. Naturalmente non sono solo saluti: sono in
molti che si fermano a contemplare le trame indiane, o i suoi oggetti creati a
mano o quelli cuciti con meticolosa precisione passando e ripassando le proprie
sottili dita sotto la mitragliatrice della sua Singer del ’52, gentilmente
offerta da un italiano e riparata da un altro, entrambi ammaliati dal genuino
calore del suo sorriso (uno di più).
brava Flo'
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