Passavano i giorni. Lei era in
farm che lavorava, io ero nel giardino della casa che ci dava
alloggio a strappare erbacce. Lavoravo tre ore al giorno, a volte
quattro, poi mi annoiavo nella solitudine delle ore che precedevano
il suo ritorno. La piscina mi guardava tentatrice ma sapevo che
l'acqua non sarebbe stata calda abbastanza da attrarmi per un tuffo e
sapevo anche che la desolazione di una piscina vuota avrebbe
aumentato la mia solitudine. Quindi cercavo lavori improbabili come
quello al McDonald e leggevo Fight Club in inglese e passeggiavo
lungo il ruscello che attraversava il bosco dietro casa e pensavo.
Pensavo molto.
E i conflitti erano in
conflitto l'uno con l'altro, mi pareva di intravederci un accenno di
schizofrenia. Sono le controindicazioni del woofing: lavori ma quando
hai finito vorresti trovare qualcosa da fare a pagamento, ma il tempo
scivola via e hai già speso le ore migliori a lavorare in cambio di
vitto e alloggio e non sei molto lucido per cercare qualcosa e la
fretta ti deconcentra e offerte di lavoro ce ne sono poche e allora
pensi che in fondo quel che hai fatto è stato un lavoro e può
andare bene e ti rilassi, ma poi pensi che effettivamente se trovassi
un lavoro “vero” a tempo pieno non avresti bisogno di qualcuno
che ti dia vitto e alloggio e allora riparti con le ricerche, ma
intanto sono passate le 5pm e le attività son tutte chiuse.
Poi arrivava il momento di andare a prenderla e la mente si
sgomberava.
Così più o meno per un paio
di settimane.
Poi arrivò un'altra coppia di
italiani a fare woofing con noi e lì, non solo per rompere la
monotona routine solitaria, iniziai a fare del bene. Erano arrivati
in australia solo da un paio di giorni, avevano il nostro stesso
sguardo spaventato e speranzoso, lo sguardo che avevamo sette mesi
prima. Come noi sapevano cosa fare ma erano confusi sul come; con
piacere e naturalezza li aiutai nei momenti di ormai ex solitudine.
Li aiutai come nessuno fece con noi, ma sentivo che lo meritavano e
venne spontaneo, ma durò poco.
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