L'itinerario da percorrere muta
in base a consigli e indicazioni che mi forniscono i signori
australiani curiosi sul nostro viaggio, sconosciuti che incontriamo
nelle aree di sosta o nei campeggi. Si avvicinano amichevoli, ci
chiedono paese d'origine e mete e poi snocciolano consigli basati
sulle proprie esperienze di vita. É così che a Cloncurry, anziché
tirare dritti per Townsville, giriamo verso nord per altri 400 km e
poi di nuovo a est.
Siamo ormai da un po' in
Queensland e sulle prime – com'era prevedibile – il panorama non
è cambiato – a parte un nuovo animale che fa sciacallaggio dei
cadaveri di canguri: il gatto. Bellissimi gatti selvatici che a volte
dividono l'asfalto mortuario con le carcasse che stavano spolpando
prima di essere asfaltati anch'essi. E il cimitero a cielo aperto di
canguri e gatti si fa ancora più vario quando compaiono, ancora più
inaspettati, cadaveri di cinghiali, ma sono un paio e lì per lì
penso sia un miraggio da voglia di pappardelle.
E poi quel falco sulla carcassa
di un canguro.
Quel falco che prima del mio
passaggio era vivo e che dopo non lo era più. Era lì con altri
esemplari come lui che, come al solito, hanno spiccato il volo prima
dell'arrivo lento e costante del van, ma lui no, lui è rimasto fermo
sulla carcassa, si è alzato dalla pancia sventrata, ha alzato la
testa e mi ha guardato, ci siamo guardati. Per me era tardi per
sterzare, la botta che ho sentito non è di quelle che lasciano
scampo e a fugare ogni dubbio c'è stata una delle poche frasi della
francese che senza tono ha confermato che il rapace non avrebbe più
volato. Ho provato a darmi diverse spiegazioni sperando di consolare
la coscienza: una è che ha pagato l'ingordigia con la vita, un'altra
è che era troppo satollo per volare, quella che mi piace di più è
che la natura selvaggia non tolleri l'invecchiamento e che ogni
animale non più in forma troverà presto il suo naturale predatore e
che il falco avesse scelto una botta secca piuttosto che l'agonia tra
le fauci di un coccodrillo o di un gattaccio.
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