Ci sono 700 metri tra la casa dei nostri nuovi surrogati di genitori e il loro art center che offre esperienze culturali aborigene. Quel pezzo di strada sterrata divide un bosco da un campo. A percorrerla di prima mattina a piedi per andare a lavoro si sentono dei rumori di passi calpestare le foglie secche del bosco e le foglie secche calpestate scricchiolano e gracchiano schiacciate col rumore secco di legno vecchio spaccato e poi rotto e i rumori sono quelli che spaventerebbero in altre situazioni, sembra essere circondati da decine di persone che si muovono furtive. Sul momento non si vede niente.
Ma lo spavento dura un istante, il
tempo che le presenze inizino a correre spaventate, loro sì, in
tutte le direzioni senza alcuna cognizione di dove andare ma col solo
pensiero di fuggire lontano anche se questo implica attraversare la
strada che stiamo percorrendo.
Sono i wallaby, piccoli canguri
che proliferano a Katherine e nelle zone limitrofe che se stanno
immobili sono estremamente mimetici ma, evidentemente, non lo sanno.
Sono così tanti che ogni giorno mi sembra di vederne di più
nonostante ne conti una media di tre al giorno morti sulla strada che
percorro da quando ho iniziato ad accompagnare al lavoro Flò. Il suo
lavoro stavolta non è volontariato ma è uno vero: finalmente
assunta in una vera farm che cercava però solo vere ragazze,
lasciando il sottoscritto come manovalanza per le necessità dei
surrogati di genitori che ci siamo trovati, in cambio di alloggio per
due.
Manuel detto Manu - l'aborigeno
che offre l'esperienza culturale al centro insegnando a pitturare in
stile aborigeno, ad accendere il fuoco con due bastoncini e a
scagliare lance in stile indigeno verso la sagome di un canguro -
l'unico aborigeno che – a detta dei surrogati di genitori – abbia
voglia di lavorare, Manuel i wallaby se li mangia. Quando il
surrogato di babbo è rientrato una notte sconsolato, neanche troppo, perchè uno gli si era scagliato sulla fiancata (di wallaby non di
aborigeno), ha prontamente chiamato Manu per accompagnarlo ad andare
a verificare l'accaduto. Ebbene, la foto che ci ha mostrato al suo
ritorno sul cellulare ritraeva un Manu molto sorridente tenere in
mano la coda dell'insperata e succulenta cena.
Il fatto che si mangi i canguri
non mi tocca troppo, ad entrare un po' nel loro mondo sono le storie
di colonialismo a spaventare: i bianchi che al loro arrivo vennero
scambiati per gli spiriti delle tradizioni popolari aborigene, i
bambini classificati come stolen generation, bambini aborigeni che
per via di una carnagione più chiara venivano strappati alle proprie
madri per essere integrati nella società civile, Manuel ci racconta
delle madri che cercavano di sporcare con colori naturali la pelle
dei figli o come questi stessi scappassero alla vista del pericolo
bianco, decisamente più spaventoso degli spiriti dei loro racconti.
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