Generalizzando - ragionando sulla teoria dei vasi
comunicanti, sul fatto che tutto il mondo emerso, in fondo, è un’isola (o
meglio un insieme di isole) circondata da una distesa d’acqua salata che per
comodità è stata divisa secondo zone – generalizzando si potrebbe anche pensare
che ogni qual volta ci si tuffa in mare si sta facendo il bagno con ogni
animale che vive nell'acqua, si fa il bagno insieme agli squali, ai delfini,
alle meduse, a milioni di sardine, le balene, i cavallucci marini, tutti.
Generalizzando.
In realtà, quando ci si tuffa, ci si sente in relazione
soltanto con ciò che si percepisce, solo con ciò che si vede. Senza una
maschera che chiarisca e ingrandisca i contorni sfocati del mare più
cristallino si è soli, contornati da animali che ti osservano indifferenti,
spaventati, o curiosi a seconda dell’irruenza del tuo stare sommerso.
Succede a volte che non sia necessaria una maschera per
vedere l’animale con cui stai facendo il bagno, né la luce del sole, per quanto
è grande.
Succede nel solito posto, nel posto che incomincio a pensare
abbia qualcosa di magico, nel posto che incomincio ad odiare perché so che a
breve dovrò abbandonare e che, se continua a darmi così tanto, non sarà per
nulla facile. Succede al Jhon Graham Reserve, che poi ho scoperto chiamarsi
anche Woodman Park sette km al sud di Freo.
Succede che quel venerdì pomeriggio non lavoravo, avevo
staccato alle una e avevo voglia di birra e/o sidro e allora me ne andavo con
la macchina al bottleshop vicino casa in cerca di refrigerio alcolico. Succede
che lì incontro Morgan il nuovo coinquilino belga, che pur di prendere una
cassa di birra si sarebbe fatto la strada a piedi, con il pesante bottino, gli
offro un passaggio e ci sediamo in veranda a raccontarci le nostre storie,
mentre lui per sdebitarsi del passaggio continua ad aprire birre. Succede che,
parlando, viene fuori il discorso della pesca e io dico che ho due canne e che
si può andare in serata. Alle quattro è ancora troppo caldo. Alle quattro sono
sbronzo. Alle quattro torna Flò. Alle quattro devo dormire un po’. Alle sei si
andrà. E si va, lasciando detto ad altri coinquilini di raggiungerci appena
possono.
Io, Flò e Morgan, due canne già pronte, che avevo preparato osservando
i pescatori intorno tempo indietro, una scatola di mangime per gatti, il mio
scetticismo visti i risultati passati, l’ottimismo di Morgan che in passato
aveva già pescato (facendo sempre somaro).
Il porticciolo è pieno. Ci facciamo spazio vicino a una
famiglia di orientali che pescano con il nostro stesso metodo, cioè siamo noi
che imitiamo loro, ovvero con una serie di piccoli ami colorati senza niente
attaccato. Le mie canne sarebbero pronte ma Morgan decide di smontare il mio
lavoro su una delle due e attaccare un solo amo grosso per metterci il mangime
del gatto. Nel vedere l’operazione, nel
veder vanificare tutto quel lavoro, quell’osservare gli altri, quel preparare
la canna con i giusti ami, mi sento mancare. Eppure sembra sapere quello che
fa. Gli orientali pescano a ritmi forsennati, Morgan continua a perdere l’esca
decisamente poco propensa a restare attaccata all’amo, Flò ci prova, ma sembra
esserci qualcosa di sbagliato e continuiamo a restare a secco. Propongo a
Morgan di tornare alla montatura originale, svuoto il mangime del gatto in
acqua e i pesci arrivano anche da noi. Si tratta di sardine, una marea di
sardine, o qualcosa del genere. Mentre la luce del sole si affievolisce, cambia
qualcosa e iniziamo a pescare con una frequenza incredibile. Morgan è quello
che ha meglio capito il metodo e tira su sardine per la bocca, ma anche per gli
occhi, la pancia la coda. Sono così tante che basta dare un colpo secco. Quando
intorno si fa buio, quando si accendono i due lampioni ad illuminare i
pescatori troppo presi a cacciare pesci o granchi da non accorgersi del
tramonto alle spalle, quando arriva il buio arrivano tre degli altri
coinquilini. Si accorgono subito che qualcosa stia andando per il verso giusto
dal sorriso ebete stampato sui nostri volti increduli. Anche loro vogliono
provare, ma la magia sta scemando. O sta incominciando.
Mentre pescano, di fronte alla punta delle canne si
materializza un delfino. Intorno c’è l’indifferenza di chi è abituato alla
visione. Lui intanto nuota, spruzza, saluta, si immerge e riemerge, saluta
tutti fa avanti e indietro di fronte ai pescatori, lo fa una volta, la seconda
passa e mangia una sardina morta che galleggia tra le canne, inizio a fremere,
penso di tuffarmi nel nero dell’acqua, tra enormi granchi che nuotano in
superficie. La terza volta lo dico e Morgan e Chris approvano. Gli tiro una
sarda, si avvicina per mangiarla e nel frattempo noi ci siamo svestiti, siamo
sulla scaletta che porta diretti in acqua, siamo dentro, siamo a un metro dal
delfino siamo quattro enormi creature sulla superficie dell’oceano a una
distanza così prossima che commuove. Lui sta lì, mantiene un metro di distanza,
per qualche secondo, di quei secondi che nel ricordo durano una vita.
I wish you
could swim, like dolphins can swim. We can be heroes just for one day
A casa, negli occhi ancora sognanti, ci sono una cinquantina
di sarde da spellare, squartare, sbudellare, decapitare. A casa la magia è
finita, per ora, ma è impressa nel ricordo.
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