Ritornare, nel senso di
rimpatriare, di tornare a casa, tornare all'ovile, dai propri cari
nei luoghi familiari, tutto questo, il ritornare sui propri passi non
è mai una vittoria eppure non sempre è una sconfitta.
Non mi sento sconfitto,
tutt'altro.
Qualcuno che c'è riuscito
prima di me mi ha rivelato che con questo viaggio abbiamo centrato e
colpito il cuore dell'australia e per farlo c'è voluto un anno e
forse servirebbe ancora qualche tempo in più, ma grosso modo questi
sono i tempi. Qualcuno è curioso di sapere se l'esperienza
arricchisce, in termini economici è innegabile che il lavorare sodo
venga ripagato con moneta ben più sonante dei canoni a cui siamo
abituati, è altrettanto vero che i costi della vita siano duri da
sostenere finchè non si trova un qualsiasi lavoro. Eppure, in fin
dei conti, se considero il primo mese di adattamento, due o tre mesi
di viaggio in van per mezza australia, un viaggetto a metà anno in
Indonesia, un altro a fine anno lungo un mese tra Taiwan, Giappone e
Sud Korea, devo ammettere che sì c'è un arricchimento in termini
economici, niente di eclatante e niente rispetto a quello interiore,
alla consapevolezza che si acquisisce di se stessi, alla conoscenza
del mondo e di chi lo abita, alle caratteristiche distintive delle
varie culture, all'essere uguali e diversi da tutti. All'essere
italiani che è una cosa stupenda e vergognosa, non so gli
appartenenti a quanti altri paesi possano dirsi orgogliosi e affranti
delle proprie radici: purtroppo e per fortuna sono italiano:
purtroppo le persone peggiori che ho incontrato parlano italiano e
per fortuna ne ho incontrate molte altre che mi hanno fatto ricredere
ogni volta. Siamo figli di un misto di culture , tradizioni, grandi
uomini, scoperte, marchi, che ci hanno fatto apprezzare da tutto il
mondo, ma è come se ci stessimo chiudendo su noi stessi, se stessimo
defecando sulle nostre risorse, è come se stessimo implodendo,
dovremmo aprire gli occhi, viaggiare e essere orgogliosi di essere
italiani essendo al tempo stesso aperti a tutti.
Sul concetto di tornare. Ci
sono motivazioni più o meno grandi che mi hanno spinto in questa
direzione. Sorvolando su quelle grandi che possiamo catalogare sotto
la voce motivi personali, mi piace ricordare quelle piccole,
minuscole quando ce l'hai, enormi quando ti mancano, quelle cose come
la mozzarella, il prosciutto, la cultura, il caffè al bar con un
amico, girare in bicicletta, la radio, i vicoli e le piazze, un parco
in città, il pane cotto a legna, la lavagnetta con su scritto “a
pranzo da me, nonna”, i piccoli Camilla, Damiano, Zoe, nati quando
ero via, un anno in più sul volto di tutti, come si cambia, come in
fondo non cambi niente, la primavera, l'autunno e sì anche
l'inverno, il camino bruschette e castagne, raccogliere funghi e
asparagi, la neve, le vecchiette, il dialetto...
E quindi grazie a tutti quelli
che ho incontrato e che hanno reso il viaggio splendido da quel
“ciao” che un giorno ci rivolse un siciliano vestito da drago,
passando per i coinquilini, gli amici incontrati a fremantle e in
viaggio, a Chris, Jhonny, Uta, Mike che abbiamo poi incontrato nei
loro luoghi di nascita che sono posti fantastici specie se vissuti
con persone speciali, e infine ma in primo luogo grazie a chi un
giorno ha deciso di credere in questo sogno, lasciarsi prendere per
mano per accompagnarmi verso l'ignoto.
Grazie alle persone e alle cose
che ho ritrovato, grazie alle foglie rosse delle vigne dei paesaggi
autunnali umbri che mi hanno accolto regalandomi il tepore di casa,
grazie all'australia a ciò di incredibile che ho visto, che ho
vissuto e che ho cercato di raccontare, a un paio di cose importanti
che ho imparato da tenere sempre a mente che sono “never give up”
e soprattutto “no worries”.
E poi c'è una sequenza di foto
significative di un anno downunder in cui compaio con altra gente e
animali che hanno significato molto, foto che fino alla fine avevo
censurato per lasciar spazio al racconto, ma alla fine ci vuole
qualche immagine.
E poi e poi ciao, not goodbye,
just see ya