Intanto
lei. Lei intanto spazzava e lavava e strofinava e grattava lo sporco
dalle case e lucidava e spolverava e rifiniva per donare lucidità e
brillantezza ai tuguri che, più o meno, erano stati trascurati dalla
trascuratezza dei padroni di quelle case che erano l'altra faccia
della medaglia dell'aspetto curato di quelle persone, come del resto
accadeva anche a lei, lei che tirava a lucido che riportava ordine
negli oggetti, lei aveva realizzato che gli oggetti hanno un valore
relativo, che gli oggetti vogliono possederti e incollarti ai luoghi,
che ti incatenano. Era logico che tutto andasse al contrario in un
paese dove tutto era il contrario rispetto a ciò che aveva lasciato.
Lei, Cinderella, il suo aiutante magico l'aveva incontrato molto
prima di iniziare a logorarsi i polpastrelli con le spugne abrasive
che tirano via incrostazioni di sporco e pelle delle mani. Lui era
comparso in un giorno di sconforto, di quelli che prendono a tutti,
ma quando è una donna ad averli sembra che tutto il mondo si
incupisca, che le nuvole si facciano scure pronte a esplodere acqua
come i suoi occhi gonfi. Lei era su una panchina incurvata su un
libro che raccontava storie violente in inglese, ma, per come lo
vedeva lei in quel momento, poteva essere arabo, cirillico o
mandarino: comunque non avrebbe capito il senso ed era questo che in
quel momento la scoraggiava. Non si trattava di saper leggere una
lingua straniera per sfizio, ma di comprenderla e assimilarla per
necessità e l'urgenza, anziché spingerla la bloccava; ogni verbo
irregolare, plurale strano o parola che non compariva nel suo
dizionario tascabile, che per un errore di stampa o un scherzo del
rilegatore aveva le lettere messe in ordine sparso, ogni ostacolo la
riportava al pensiero originale: al pensiero che non ce l'avrebbe mai
fatta. E fu in mezzo a questa coltre di pensieri scuri che si
materializzò di fianco a lei una presenza. Non si sa bene se lui
l'avesse vista da lontano e, particolarmente sensibile come era,
fosse stato travolto dal suo sconforto, o se semplicemente fosse
apparso d'improvviso seduto su quella panchina, così come appaiono
le presenze magiche. E una volta apparso, non fece niente di
straordinario, o meglio fece una cosa talmente normale, ma allo
stesso tempo talmente rara questi tempi, da risultare straordinaria:
parlò con la ragazza. Lui le chiese cos'era che non andava, lei gli
rispose che non riusciva ad inserirsi in questa realtà sottosopra,
in questa lingua che qualcuno definiva semplice, il fatto eccezionale
fu che tutto questo lo disse in inglese e lui rimase stupito dalla
contraddizione che rimarcò e le disse anche che poteva stare
tranquilla che un lavoro l'avrebbe trovato grazie anche a quel suo
sorriso che spuntava anche in mezzo alle malinconie. Poi le raccontò
la sua storia, le sue origini, il misto di razze che si era fuso
prima di portare al suo parto, origini aborigene ma anche orientali e
africane e qualcos'altro, anche lui era senza lavoro, ma la sua
carica di energia vitale lo faceva risultare una di quelle persone
che riescono a cavarsela comunque. Poi lui fece una cosa ancora più
semplice che parlarle e ancora più rara da vedere: l'abbracciò. E
l'abbraccio fu uno di quelli caldi di quelli che ti stringono a sé
che ti strizzano e ti sgonfiano delle tue cariche negative e poi ti
rigonfiano soffiandoti dentro la loro energia, persone che sembra
abbiano un cuore più sviluppato, più grande e più pompante, che
funzioni proprio come una pompa ma non si limiti agli organi interni,
che per la sua capienza, quando soffia, riesca anche a ossigenare chi
lo circonda. Poi come arrivò, sparì lasciandole un sorriso che
rischiarì il cielo. Ma non sparì per sempre. Lo vide molte volte
ancora e furono sorrisi sempre più sereni, di lei e per lei che
aveva trovato lavoro, per lui e di lui che aveva trovato un lavoro
eccellente nelle miniere. Fino all'ultima volta, per il momento, in
cui lui le chiese di accompagnarlo all'aeroporto in piena notte per
andare nelle miniere perchè aveva perso il portafoglio – gli
aiutanti magici risultano spesso sbadati e distratti – e non aveva
soldi per il taxi (l'aereo era pagato dalla compagnia), lei
acconsentì senza batter ciglio, quando ci si donano gesti affettuosi
a vicenda poi tutto viene naturale. (Tutto vi sarà chiesto, tutto vi
sarà dato).
Nel
mezzo dei due incontri lei trovò il lavoro, che non era il lavoro
dei sogni, nessuno sogna di pulire da grande, ma era pur sempre un
lavoro. E nel lavoro diede tutto, diede i polpastrelli e la schiena e
la pazienza e fu fortunata ad incontrare due altre cinderelle con cui
scambiare qualcosa di più di una spugna o uno spruzzino. E mentre
correva da una casa all'altra con il van aziendale i suoi pensieri
correvano verso le prossime mete, i luoghi da visitare una volta
lasciato il lavoro, un van tutto suo con cui arrivare alla punta nord
dell'australia e fare il bagno con squali balena e tartarughe, o si
perdevano nelle lotte umanitarie che avrebbe voluto fare, era decisa
ad affrontare la corea del nord per mettere in salvo quella del sud,
patria natale dei suoi nuovi amici, voleva salvare i conigli dalle
trappole dell'uomo australico. Quella dei conigli era una battaglia
persa, una battaglia che prima di lei persero gli australiani, poi
persero i conigli, poi tornarono i conigli e ora gli australiani non
volevano più perdere. I conigli li aveva visti per primo Cinderello,
li aveva visti più volte, sempre di sera sempre da solo al ritorno
dal suo lavoro, gli facevano compagnia sulla strada che percorreva a
piedi stravolto, lo precedevano scappando qualche metro quando si
avvicinava, aspettandolo ancora qualche metro più in là e scappando
un altro po'. Lui le raccontava questi strani incontri e lei lo stava
a sentire senza il minimo scetticismo. Poi un giorno le raccontò che
di coniglio ne era rimasto solo uno, che l'altro, quello che non
c'era più era stato asfaltato da una macchina e poi altre ancora e
l'aveva riconosciuto solo dalle orecchie che spuntavano dall'asfalto
dove ora rimaneva solo una pelliccia sporca di pneumatici. E il cuore
di lei si strinse per il coniglio rimasto vedovo e le chiese di
portarla dove per la prima volta li aveva visti, che poi era nel
parco dove aveva incontrato il suo aiutante magico per la prima
volta. E lì basto sedersi e aspettare e la testa del coniglio
rimasto fece capolino e uscì, ma non era solo, dopo di lui, in fila
quattro cuccioli uscirono dalla tana e tutto sembrò farsi più
sereno, il ciclo della vita, morte e rinascita, un ciclo continuo.
Dopo di lei, purtroppo, troppe persone videro i conigli e tra quelli
c'era qualcuno che doveva ricordare la grande invasione in tempi non
troppo lontani. E nonostante il periodo fosse quello pasquale, il
sindaco non si fece problemi a diffondere l'avviso che avrebbe
cosparso il parco di veleno. Il cuore di lei si strinse nuovamente,
avrebbe voluto mangiare il veleno per salvare gli animali, avrebbe
voluto mettere in fuga i conigli ma sentiva imbattibile la
burocrazia, un marchingegno infernale senza alcuna pietà. Come aveva
imparato pulendo che dietro il pulito c'era lo sporco, così capì
che dietro la bellezza della natura imperversano azioni oscene. Poi
c'erano gli aborigeni quelli veri, quelli autentici, quelli che erano
ingabbiati in mondo alcolico degenerativo, quelli che più di tutto
avrebbe voluto salvare, ma ancora doveva decidere come. Poi venne il
tempo di partire e fu così che lasciò il lavoro con un sorriso di
circostanza verso il capo unto e un good luck sincero e la schiena le
si raddrizzò e le abrasioni svanirono e il futuro incerto splendeva
della luce dell'avventura e della scoperta. In più rispetto a prima,
a prima dell'incontro magico, ora parlava una nuova lingua.